Reggio Emilia, 20 novembre 2018 – Una busta dal mittente quantomeno inquietante. Un possibile messaggio di carattere intimidatorio, il cui destinatario, l’avvocato Rosario Di Legami, lo percepisce «come una minaccia, senza dubbio», che potrebbe essere di origine mafiosa. Chi gliel’ha spedita, infatti, si è attribuito, scrivendolo a chiare lettere, l’indirizzo palermitano dove abita la famiglia del padrino di Cosa Nostra, Totò Riina, cioè via Scorsone, «il simbolo per eccellenza di ogni criminalità». Un nome cambiato da qualche giorno in via Terranova, dopo l’intervento dell’ex prefetto di Reggio, ora in carica a Palermo, Antonella De Miro. Di Legami si dice «preoccupato», ma suona come un eufemismo.
Lui è il legale di Palermo che da ormai quattro anni, dal gennaio 2015, quando scattò l’operazione contro la ‘ndrangheta ‘Aemilia’, gestisce e amministra i beni sequestrati alla cosca Grande Aracri, finiti al centro dell’inchiesta: un tesoro del valore di 500 milioni che gli affiliati hanno sempre cercato di preservare, anche durante il processo. Dentro la busta, «recapitata lunedì scorso al mio studio e che ho aperto davanti ai miei collaboratori», c’era un pezzo di carta igienica sporco di escrementi. «È una minaccia rivolta a me – rimarca Di Legami –. Era infatti indirizzata al mio recapito di lavoro, con un contenuto che specificava come mi considerano e una ‘firma’ del mittente».
Il legale ha segnalato la scoperta al Gico della Finanza di Palermo, che ha avviato gli accertamenti. Di Legami è impegnato su diversi fronti di sequestri avvenuti in Emilia, ma anche Calabria e Sicilia, «per la riaffermazione di una legalità – dice lui – che dovrebbe essere normale condizione e invece non la è». Con la sua opera a vasto raggio, l’avvocato potrebbe aver infastidito sodali della ‘ndrangheta o della mafia siciliana. Potrebbe non essere facile capire da chi provenga questa busta, e se l’indicazione di Riina sia una firma vera, che riporta a Cosa nostra, o a un depistaggio perché i reali autori rimandano alle cosche calabresi, ai loro sodali in terra emiliana o ad altri soggetti.
Di Legami si sta occupando ad esempio, del patrimonio tolto all’imprenditore agrigentino Calogero Romano, «valore 120 milioni». Oppure del sequestro di tre centri per migranti in provincia di Vibo Valentia, infiltrati dalla ‘ndrangheta, di cui lui ora è commissario di nomina prefettizia, «primo caso del genere in Italia». Insieme ad ‘Aemilia’, questi sono gli incarichi più rilevanti, «ma – rimarca lui – non sono gli unici».
In ideale, ma anche concreta, continuità con il lavoro del prefetto De Miro, «che per la sua efficace azione a Reggio», grazie alle interdittive antimafia, «ora sta affrontando la difficile realtà di Palermo», Di Legami ha già riportato allo Stato diversi beni emiliani che erano della cosca. Ad esempio la ditta Bianchini di San Felice sul Panaro (nel Modenese): prima fu esclusa dalla white list per le infiltrazioni legate agli appalti del sisma, poi sotto concordato, infine scattarono le manette per Augusto Bianchini, il titolare, con moglie e figli imputati e di recente condannati in Aemilia, poi riammessa a lavorare nel settore pubblico senza più il nome ‘pesante’ della famiglia. Non solo: 40 camion della ditta di Giuseppe Giglio, con sede a Gualtieri, confiscati e destinati ai vigili del fuoco, «operazione con la quale lo Stato – evidenzia – ha guadagnato non meno di dieci milioni».
Oppure l’accordo chiuso meno di un mese fa con la Finanza nazionale per consegnare «15 appartamenti alle forze dell’ordine». Poco meno di un mese fa, la sentenza del primo grado di Aemilia, in cui i giudici hanno disposto la confisca di un rilevante patrimonio, con beni sparsi Reggio e provincia, ma anche Parma, Modena, Mantova, Bologna, Crotone, Roma, Massa Carrara e perfino Saint Vincent, in Val d’Aosta. È ancora presto per parlare della destinazione di questi beni, ma di una cosa, nonostante le minacce, si dice certo Di Legami: «Ci sarà un confronto con i Comuni e l’Agenzia nazionale, nella continuità nella gestione e valorizzazione per lo Stato. Continuerò a fare il mio dovere».