Modena, 7 ottobre 2010. Una gelosia folle, ma non per amore. Solo per difendere il proprio onore. Kahn Ahmad Butt — il 53enne pachistano che ha ucciso con sei colpi di mattone la moglie Shahnaz Begum perché la donna voleva divorziare e si batteva affinché la figlia non avesse un matrimonio combinato — era ossessionato dal comportamento delle donne di casa che si stavano ribellando a una vita da recluse.

Il giudice Domenico Truppa, chiamato a decidere sulla convalida dell’arresto dell’uomo e del figlio Umair, ha deciso che i due restano in carcere individuando nel desiderio di divorziare di Shahnaz e nel rifiuto di sposare l’uomo indicato dal padre della figlia Nosheen, il motivo delle liti in casa che si protraevano da sei anni, cioè da quando il pachistano aveva portato a Novi di Modena il resto della famiglia.

Domenica Kahn ha ucciso la moglie, mentre il figlio Umair prendeva a sprangate la sorella Nosheen, davanti agli altri tre figli. La più piccola, 14 anni, è l’unica che ha visto tutto e ha raccontato ai carabinieri la dinamica del delitto. "Mio fratello ha detto alla mamma che doveva ucciderla perché non si comportava secondo i costumi pachistani", ha riferito la ragazzina.

Così madre e figlio si sono messi a litigare. Poi, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, in casa è arrivato il 53enne, ancora in tunica perché aveva appena finito di pregare nella vicina moschea. "La mamma ha detto a mio padre che voleva il divorzio".

A questo punto l’uomo ha preso il telefono e ha chiamato la suocera in Pakistan per informarla della decisione della figlia 46enne. "Shahnaz morirà in quella casa", ha detto l’anziana dal Pakistan. Una frase che, ora, suona come una condanna a morte. Il 53enne avrebbe perso la testa quando la discussione si era già spostata nell’orto e dopo che la moglie lo avrebbe offeso.

"Ha preso il mattone e lo ha picchiato in testa alla mamma", ha riferito la 14enne. Solo che a quel punto la ventenne Nosheen è corsa in difesa della madre, cercando di fermare la furia di Khan. La giovane, però, è stata raggiunta da una raffica di sprangate da parte del fratello, che ha usato due bastoni, uno ‘leggero’ e poi uno più pesante. Umair non voleva che la sorella salvasse la madre, e con questo tremendo gesto ha lasciato che il padre uccidesse la donna.

Ecco perché Kahn Butt è accusato di omicidio volontario aggravato mentre il figlio risponderà, oltre che del tentato omicidio della sorella, anche del concorso in omicidio aggravato della madre. In pratica, impedendo alla sorella di intervenire, ha contribuito alla morte di Shahnaz.

Secondo il giudice che ha convalidato gli arresti, l’appartenenza degli indagati alla religione musulmana non c’entra con il delitto, conseguenza più che altro di fattori culturali incompatibili con la nostra società. Padre e figlio volevano avere il controllo totale sulle donne di casa: la richiesta di divorzio avanzata dalla 46enne era per il marito un affronto intollerabile, così come il fatto che la figlia non accettasse, con l’accordo della madre, il matrimonio combinato.

Una smania di possesso dettata non dall’amore, ma da una questione d’onore. Tanto che una mattina, a giugno di quest’anno, il 53enne si presentò ai carabinieri denunciando che un uomo pachistano si aggiarava davanti a casa dei Butt, in via Veles a Novi, a suo dire corteggiando Shahnaz.

I carabinieri fecero un controllo ma l’uomo non c’era più. E’ questo l’unico intervento dei militari a casa Butt: la grave situazione familiare era nota a tutta la comunità pachistana ma nessuno aveva mai chiesto l’intervento delle forze dell’ordine.

Intanto la procura sta valutando la posizione dello zio di Nosheen, il quale è arrivato con la moglie nell’orto appena dopo il delitto: rischia di essere indagato per favoreggiamento perché ha riferito agli inquirenti di non aver visto nulla e tiene un comportamento reticente. Il pm Pasquale Mazzei, appena sarà possibile, parlerà con la ragazza ferita.