Reggio Emilia, 13 maggio 2010. «Il procuratore Gratteri denunciò un anno fa le cinque ‘ndrine presenti nel Reggiano. I Comuni più esposti sono quelli della Bassa, ma ora il fenomeno si sta estendendo a tutto il territorio provinciale. Anche, in montagna. Causando danni all’economia molto elevati. E’ giunto il momento di alzare il tiro».

Lancia un appello e si sfoga Enrico Bini, 54 anni, montanaro, presidente della Camera di Commercio dal dicembre 2008. Bini è l’autorità reggiana che, per prima, pubblicamente, si è esposta per denunciare il fenomeno criminalità organizzata.

Pochi anni fa erano rari i veicoli artigianali bruciati. Ora è pane quotidiano e siamo alle bombe sotto le auto. Come nell’intimidazione di via Caliceti.

«C’è nervosismo e questo gesto clamoroso ne è un sintomo. La crisi ha portato a un arresto della circolazione di capitale. Diverse aziende si sono indebitate con i malavitosi. Imprese che prima lavoravano con prezzi bassi e strozzavano il mercato, ora a loro volta sono in difficoltà. E ricorrono all’usura. Poi non riescono più a pagare. Gli arresti dei giorni scorsi lo dimostrano».

L’illegalità criminale oggi come si manifesta?

«Lavori in nero, operai sottopagati, assicurazione, usura, intimidazioni. Ecco il cancro che dobbiamo fronteggiare».

Lei se ne occupa da anni.

«Da quando curavo il settore commerciale di Transcoop che seguiva il trasporto degli inerti per i cantieri dell’alta velocità. Ero anche vicepresidente della Fita - Cna (sindacato dell’autotrasporto): avevo un ruolo dal quale non mi potevo sottrarre».

Che vide?

«Che chiedendo i documenti alle aziende che richiedevano lavoro non tutte erano in regola. Su una si focalizzò l’attenzione del nucleo predisposto ai controlli sul lavoro, che riscontrò il legame col mondo della ‘ndrangheta».

La ‘ndrangheta arrivò a Reggio nel primo lustro del Duemila?

«No. C’era già e ‘lavorava’ da prima. Ma coi grandi cantieri crebbero le opportunità e gli interessi. Il fenomeno ora è esploso».

Come si potevano riconoscere questi fenomeni?

«Si notava – e a volte si nota tuttora - che imprese venute da fuori capaci di applicare sconti del 30 al 50% rispetto ai locali. Specie negli autotrasporti e in edilizia».

Colpa solo delle imprese ‘forestiere’?

«No. C’è una responsabilità forte del mondo economico reggiano. Penso alla committenza locale che deve scegliere a chi affidare i lavori e anche al mondo dei professionisti che, sicuramente, può porre maggiore attenzione a contrastare questi fenomeni».

All’epoca lei era anche presidente della Cna. Cosa pensò di fare?

«Le prime azioni furono di incontrare le istituzioni, le forze dell’ordine, operando segnalazioni delle illegalità che riscontravamo».

Quale riscontro ne ebbe?

«Di non ascolto, perché non c’era nessun altro esponente del mondo produttivo che segnalava le infiltrazioni mafiose nel tessuto economico reggiano».

A distanza di dieci anni ha avuto ragione.

«Avrei preferito non averla. Sono state confermate tutte le sensazioni che io e miei collaboratori avevamo avuto».

C’è chi ha chiesto le sue dimissioni, chi l’ha additata di razzismo.

«E’ noto a tutti che questo sistema dell’illegalità non è radicato nella cultura reggiana e viene da fuori. Ma dobbiamo saper distinguere tra chi subisce l’intimidazione diretta della malavita (imprese che vengono da fuori o emigrati che non riescono a denunciare), da chi subisce le conseguenze economiche di questo sistema (imprese soprattutto locali) e da chi dobbiamo denunciare: i criminali che la impongono. Citando i rapporti della Direzione distrettuale antimafia è chiaro che abbiamo a che fare con i Casalesi di Casal di Principe (Caserta) e alcune famiglie di Cutro e Crotone. Questo è solo oggettività. E’ purtroppo evidente che a fronte di tante imprese oneste calabresi, facciano più clamore quelle disoneste».

In questi mesi, presidente, attorno alla sua figura si sono calamitate iniziative tese a sfiduciarla o a porla in cattiva luce.

«Sì, ho ricevuto attacchi strani. Anche se si è avverato quello che mi segnalò il procuratore Gratteri: prima di lasciarti in pace (in quanto troppo ingombrante) proveranno a farti fuori screditandoti personalmente».

La giunta della Camera di Commercio non è nemmeno riuscita ad approvare una mozione di sostegno al suo operato.

«Apprezzai molto la proposta fatta da un membro di giunta. Non è passata perché qualcuno non ha ritenuto fosse problema da considerare. Mi è dispiaciuto molto».

Paura nel compiere la battaglia?

«Per me personalmente no, per i miei collaboratori e chi mi sta vicino c’è un po’ di preoccupazione. Penso, però, che se si ricoprono certi incarichi occorre davvero svolgere il proprio dovere. Come presidente della Camera di Commercio non potrei non farlo».

Chi ricorda tra chi la ha aiutata?

«Le associazioni di volontariato, don Eugenio Morlini il prete di San Bartolomeo con cui periodicamente mi confronto, gli insegnanti delle scuole che hanno iniziato per prime a far conoscere questo fenomeni, Marco Venturi ex presidente della Camera di Caltanisetta ora assessore alle Attività produttive della Regione Sicilia, i 50 che con nome e cognome hanno risposto a un appello su Redacon, il movimento 5 Stelle con le sue proposte in Comune, diverse associazioni, altre persone».

Chi si aspettava che la aiutasse di più.

«Le istituzioni. Anche se ora qualcosa si muove. E il rapporto col Prefetto è ottimo e mi sta supportando molto. Il summit di martedì lo dimostra».

Ha mai pensato a una scorta?

«Non ci penso assolutamente. Non ho paura. Certo, mi guardo le spalle».