Reggio Emilia, 21 novembre 2011 - LA NUOVA Cattedrale dell’umiltà ieri è stata svelata ai reggiani dopo aver avuto il placet di papa Ratzinger, che in un messaggio inviato dal segretario Tarcisio Bertone ha lodato l’«accresciuto decoro» del Duomo.

Da ieri - al termine, forse, di una scia di durissime contestazioni - il rapporto tra vescovo e fedeli a messa cambia in modo assolutamente radicale. E’ la rinuncia al potere temporale e un nuovo modo di comunicare il potere spirituale. Diventa un guardarsi negli occhi sullo stesso piano, umili davanti a umili. Non c’è più un alto (il sacerdote) e un basso (la gente in preghiera). C’è il nuovo altare bianchissimo del luzzarese Claudio Parmeggiani, due blocchi quadrati di marmo grezzo e rugoso con incisa una scritta di epoca romana, «Caesar», trovati abbandonati in un magazzino della cava di marmo di Carrara, dove andava a rifornirsi Michelangelo.

C’è - a prima vista un pugno nello stomaco, poi la si riempie di un senso nuovo e diventa accettabile anche nell’estetica - la cattedra episcopale di ferro sulla destra della navata dove siede il vescovo, issata su cassettoni di legno recuperati da un palazzo del ’400 a Viterbo: è l’arte povera di Jannis Kounellis. Dicono che quel sedile sia scomodo: è stato voluto così, perchè anche il vescovo deve in qualche modo soffrire. L’effetto è una zattera che navighi in acque tempestose.
 

VIA i teli di copertura. Una sorpresa dietro l’altra. A sinistra della navata centrale c’è un alto tubo azzurro, diviso in due parti da una feritoia. E’ il candelabro pasquale di Ettore Spalletti, pietra di Vicenza con sopra strati di gesso e colla, il taglio è l’apertura del mar Rosso per far passare il popolo eletto. All’interno, lamine di foglie d’oro fanno riflettere la luce e il messaggio trova ulteriore potenza. Infine la scalinata di marmo di accesso all’ambone (non si chiama più pulpito), opera del giapponese Hidegoshi Nagasawa. Prima una scaletta consentiva l’accesso a una sola persona, oggi a cinque in una volta. E in alto, nell’ambone, il leggio dell’artista nipponico è a forma di ali d’aquila (riferimento al salmo 90), vuoto all’interno perché dal basso si deve vedere il Libro posto sopra.
CON QUESTA rivoluzione del modo di stare in Chiesa - adeguamente liturgico, l’espressione esatta - il vescovo Adriano Caprioli ha chiuso ieri l’anno giubilare. La cerimonia è cominciata alle 16,30 in un Duomo affollato ma non gremitissimo. La processione dei vescovi, dei presibiteri, dei diaconi e dei ministri è partita dal Battistero ed è entrata dal portone centrale fino all’altare. Il clero si è posizionato nei transetti. All’interno, attendevano i fedeli. In prima fila, a lato della cattedra le autorità pubbliche: tra gli altri, il sindaco Graziano Delrio, il vicepresidente della Provincia Pierluigi Saccardi, il deputato Pierluigi Castagnetti. Di fronte a Caprioli, gli ammalati. Poi è stata data lettura di tre messaggi di rallegramenti: mittenti l’arcivescovo di Ferrara (il reggiano Paolo Rabitti), il cardinale Camillo Ruini, e il segretario di Stato Bertone a nome del Pontefice. Infine le benedizioni. Alle 16,48 la cattedra. Alle 16,54 l’accensione (fallita) del cero sulla sommità del candelabro. Dopo la liturgia della parola e la preghiera di dedicazione e unzione, il vescovo sale sull’altare e colloca nel sepolcro posto al di sotto le reliquie dei Santo Crisanto e Daria. Alle 17,51 la benedizione dell’altare, «pietra di Cristo» che deve essere - l’auspicio di Caprioli - «fonte di unità per la tua Chiesa», capace di rafforzare «i tuoi fratelli uniti nella comune preghiera, e sia il centro della nostra fede». Un appello alla concordia, dopo le aspre divisioni sulla nuova Cattedrale.