L’amianto uccide trent’anni dopo Fincantieri dovrà risarcire ancora

Agli eredi di un carpentiere morto nel 2014 andranno 900 mila euro

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A trent’anni esatti dalla messa fuorilegge nei luoghi di lavoro, l’amianto continua a uccidere. Asbestosi, mesotelioma pleurico, due delle conseguenze medico-sanitarie più devastanti che negli ultimi anni sono stati al centro di una raffica di cause civili e penali intentate dai familiari delle vittime nei confronti di grandi aziende. Fincantieri in particolare che da alcuni giorni a questa parte ha dovuto incassare anche le condanne inflitte dai giudici del lavoro del tribunale di Ancona per la morte di due operai, dipendenti del cantiere navale tra gli anni ’50 e gli anni ’90. Due cause, come tutte quelle allestite ad Ancona, seguite dallo studio legale Berti di Ancona. La prima sentenza è stata emessa alla fine della scorsa settimana dal giudice Tania De Antoniis che ha condannato Fincantieri a risarcire con 900mila euro gli eredi di un carpentiere osimano morto nel 2014 quando aveva 73 anni. Una sentenza difficile da ribaltare visto che un documento inchioda l’azienda triestina alle sue responsabilità: l’autopsia disposta al tempo sul corpo della vittima aveva evidenziato la presenza di corpuscoli di amianto nel parenchima polmonare 200 volte superiori alla soglia di guardia. Un limite che divide la presenza casuale di amianto nei polmoni da quella contratta direttamente sul posto di lavoro. E nei cantieri anconetani, è risaputo, l’amianto veniva utilizzato tantissimo per realizzare le navi al tempo, prima del 1992. Il carpentiere in questione aveva lavorato sia a bordo che in officina come allestitore delle navi, una carriera lunga quasi quarant’anni. Più o meno lo stesso percorso lavorativo di un tubista anconetano morto nel 2020 quando aveva 79 anni a causa di un mesotelioma pleurico. Una diagnosi drammatica che nel giro di tre mesi lo ha portato alla morte. il tubista ha lavorato nel cantiere navale proprio fino agli anni in cui l’amianto è stato messo fuorilegge, ma ormai era tropo tardi e il mesotelioma gli ha presentato il conto. L’aspetto forse più terribile è che sempre il minerale killer, usato per decenni nelle produzioni del nostro Paese, aveva lasciato il segno sulla sua famiglia. Dieci anni fa, otto anni prima della morte del tubista, suo fratello era morto sempre a causa di un mesotelioma pleurico. A inizio settimana la giudice Arianna Sbano ha letto la sentenza che condanna Fincantieri a risarcire i familiari del tubista anconetano con 870mila euro.