
Quell’ultima volta di Re Lear: "Il teatro ancora mi emoziona"
Un ‘guitto’ ormai vecchio e disilluso aspetta in una anonima hall d’albergo di portare in scena per l’ultima volta ‘Re Lear’. Si abbandona ai ricordi, riflette sulla propria vita, sul mestiere d’attore, e su molto altro. E’ Bernhard Minetti, grande attore tedesco del ‘900 ‘scopritore’ del teatro tragicomico e crudele di Thomas Bernhard e interprete di molti suoi testi, a cui l’autore ha dedicato la commedia "Minetti. Ritratto di un artista da vecchio". A vestirne i panni, domenica (ore 17) al ‘Gentile’ di Fabriano, è un grande Maestro del teatro italiano, il 94enne Glauco Mauri, diretto da Andrea Baracco.
Mauri, come racconterebbe ‘Minetti’ a chi non conosce quest’opera di Bernhard?
"E’ un testo bellissimo e profondamente umano, incentrato su questo vecchio attore che da trent’anni non fa più ‘Re Lear’, e che viene chiamato dal direttore di un teatro il quale vuole farglielo reinterpretare. Ma è veramente così? O è stato solo un suo pensiero? Alla fine nessuno lo chiama, e lui rimane solo. Si siede su una panchina. Scende la neve. E lui muore".
Ama in modo particolare questo ruolo?
"Lo sento mio, mi piace appunto per la sua umanità. Parla di luci e ombre, di quanto la vita può essere affascinante e a volte terribile".
Parla di teatro, il suo mondo... "Ho iniziato a recitare nel 1946. In un teatrino andava in scena ‘La notte del vagabondo’. Il sipario, che era arrotolato, a un certo punto si fermò a metà scendendo. Io lo guardai, e mi dissi: tu per me resterai sempre alzato".
E’ iniziata così una lunga storia d’amore con il teatro, che continua. Prova ancora il ‘brivido del palcoscenico?
"Non c’è più la paura, ma mi sorprende che resti l’emozione. Il teatro ha ancora la facoltà di emozionarmi. Anche quando entro in camerino, dove ho letto e studiato tanto. Quella di attore non è una vita facile. Ha le sue difficoltà, ma è bellissima. Il teatro ti rende ricca la vita".
E ti permette di viverne molte, di vite.
"Io ho interpretato ogni genere di personaggi, buoni e cattivi. Ho vissuto tanti sentimenti e tante situazioni che altrimenti non avrei mai vissuto. Per questo recitare ti mantiene giovane, appassionato. Il rapporto con il pubblico, il silenzio della platea... E’ una questione di comunicazione. Cose che il cinema non mi ha mai dato, pur avendo fatto film con grandi registi, come Bellocchio e Nanni Moretti". E riguardo allo spettatore? A cosa serve il teatro?
"Il teatro serve alla vita, ne è una ‘dimostrazione’. Il teatro ci fa vedere cos’è la vita: luci e ombre, delusioni ed entusiasmi. Si viene a teatro per provare qualcosa che non si è mai vissuto, qualcosa di unico e irripetibile, perché legato a quel momento".
Questo è il primo anno senza Roberto Sturno, suo compagno di mille avventure teatrali. Come lo ricorda?
"Sì, è morto il 22 settembre, nel sonno. Stava male da tempo. Per me poteva essere tutto: un amico, un figlio, un padre, un nonno, un collega. I suoi figli sono sempre con me, anche adesso. Per loro sono come un secondo padre".