MICHELE ZACCARDI
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Manovra, spesa per famiglie: Italia sotto la media Ue

Con l'introduzione dell'assegno unico le risorse destinate al sostegno della natalità e dei nuclei sono passate dall'1,2% del Pil all'1,9%, ancora lontano dal 2,5% europeo

L'assegno unico aumenta le risorse destinate a natalità e famiglia (Ansa)

L'assegno unico aumenta le risorse destinate a natalità e famiglia (Ansa)

Già in campagna elettorale, Giorgia Meloni aveva ribadito che la natalità "è il primo punto del nostro programma perché se non torniamo, come dice il presidente dell’Istat Blangiardo, a produrre ‘Pil demografico’ l’Italia è destinata a scomparire". Alle parole sono poi seguiti i fatti, con la manovra che assegna alle famiglie 1,5 miliardi di euro. Una cifra importante che serve a colmare il divario che separa l’Italia dagli altri Paesi europei. Già, perché la spesa pubblica destinata alle famiglie è, o meglio era, la seconda più bassa d’Europa, dopo Malta.

Nel 2020, infatti, nell’Ue a 27, la quota di risorse stanziate per le famiglie e per i figli è stata in media del 2,5% del Pil, l’1,6% per sussidi in denaro e il resto (0,9%) in beni e servizi. L’Italia, di contro, spendeva 20,7 miliardi di euro, pari all’1,2-1,3% del Pil. A invertire parzialmente la tendenza è stata l’introduzione dell’assegno unico, che ha rafforzato, con uno stanziamento di 18 miliardi annui, il sostegno per i figli a carico. Da marzo 2022, infatti, lo strumento ha sostituito e razionalizzato il sistema precedente, frutto di una stratificazione fatta di detrazioni Irpef, assegni per i nuclei e altri sussidi (come il premio alla nascita).

Ma il nuovo programma ha avuto soprattutto il merito di ampliare la platea dei beneficiari, includendo anche i figli dei lavoratori autonomi e gli incapienti che, non pagando tasse, non potevano usufruire delle detrazioni. Secondo una recente analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio, il 77% dei figli interessati si vedrà riconosciuto un aumento del sussidio rispetto al periodo precedente. Del resto, come riassume uno studio dell’Osservatorio sui conti pubblici (Ocp), grazie alla riforma che ha varato l’assegno unico, nel 2022 si è registrato un notevole incremento della spesa per famiglia e figli, finanziato in parte con la cancellazioni di 10 mesi di detrazioni Irpef per figli a carico e in parte con nuove risorse fresche per 6,6 miliardi di euro. In questo modo, in Italia la spesa familiare potrebbe avvicinarsi alla media Ue, raggiungendo quest’anno l’1,9% del Pil. Questo mentre, a partire dal 2023, quando l’assegno unico sarà a pieno regime, la spesa destinata a famiglie e figli toccherà il 2% del Pil. Nello specifico, la quota dei sussidi in denaro arriverà all’1,8% del Pil, 0,2 punti in più rispetto alla spesa media europea, mentre nel complesso, considerando anche i benefici in beni e servizi (come asili nido o alloggi sociali), la spesa italiana rimane al di sotto dei livelli Ue di circa lo 0,5% del Pil. Stando ai calcoli dell’Ocp, quindi, per recuperare il divario, servono 9,5 miliardi di euro. Insomma, l’Italia si sta faticosamente allineando agli altri Paesi Ue.

Ora, con la manovra, il governo Meloni ha incrementato le risorse a disposizione dell’assegno unico con un fondo da 610 milioni di euro. In particolare, le ultime bozze della legge di bilancio, oltre all’estensione del congedo parentale facoltativo di un mese per le madri con figli con meno di sei anni (con l’indennità che passerebbe dal 30 all’80%), prevedono un aumento del 50% dell’importo dell’assegno per il primo anno di vita del bambino (valido per tutti) e di un ulteriore 50% per le famiglie con tre o più figli, per tre anni. Del resto, che un intervento sul fronte del sostegno alla natalità fosse quanto mai necessario è confermato dalle statistiche che delineano un preoccupante “inverno demografico”. Con l’Italia tra i Paesi più colpiti. Perché è vero che la riduzione del numero medio di figli per donna (anche detto tasso di fecondità totale) è un fenomeno ormai diffuso a livello mondiale (si è passati da 5 figli per donna nel 1960 a 2,4 nel 2020), ma da noi ha assunto tratti preoccupanti.

Se nell’Europa occidentale il tasso di fecondità - che per garantire una popolazione stabile dovrebbe essere pari a 2 - è sceso da 2,8 degli anni ’60 a 1,6 negli anni ’90, con la Francia ad essere l’unico Paese che si avvicina alla soglia (1,8), in Italia siamo a quota 1,3 (in Germania appena sopra 1,5). Il basso numero di figli, unito alla riduzione del tasso di mortalità, ha provocato un mutamento nella struttura demografica dei Paesi occidentali. La conseguenza è stato l’invecchiamento della popolazione, molto più accentuato in Italia che altrove. I residenti italiani sopra i 65 anni, infatti, sono il 23,2% del totale e superano quelli sotto i 24 anni (22,8%). Un dato peggiore rispetto agli altri grandi Paesi europei, dove, seppure di poco, gli under 24 sono ancora più numerosi (24%) degli over 65 (22%).