Se nei gruppi privati di alto profilo che spaziano in mezzo mondo dove servono grandi manager e i minuti sono denaro, si utilizzassero i tempi della magistratura per le nomine di vertice, l’economia avanzerebbe al rallentatore. Prospettive diverse nell’ affrontare la realtà. Se le aziende procedono col freno tirato rischiano in proprio, la Giustizia intesa nel suo apparato è un’ impresa che scarica gli eventuali effetti negativi sugli utilizzatori finali, cioè i cittadini. Sia quelli che nel processo si ritengono vittime, sia quelli che vestono lo scomodo abito degli imputati con ovvia presunzione di innocenza. Nell’ordinamento giudiziario gli uffici, per funzionare con efficienza, hanno necessità di essere strutturati, di avere certezza dei vertici, velocità di decisione, di procedere con progetti di lavoro. Lo spettacolo che va in scena normalmente è di tutt’altro genere.
Si lamentano magistrati e politica, ma tutto rimane più o meno come sempre. E cioè le nomine di Procure, Procure generali, Tribunali si arenano nella sabbia di calendari biblici. A Bologna ha lasciato la Procura generale per limiti di età a fine anno Ignazio De Francisci. Ora guida l’ufficio il procuratore aggiunto Lucia Musti (a sua volta in corsa a Bologna e Ancona) mentre in gara ci sono 11 nomi. Tempi di decisione annunciati: un anno. Lotta dura e lunghe attese anche a Milano dove a novembre è andato in pensione Francesco Greco. Il Csm è profondamente diviso e si riunirà tra fine marzo e aprile. Poi è vero che mancano magistrati nei palazzi di Giustizia, ma contemporaneamente servono decisioni veloci sulla base di competenze e titoli. Invece spesso le scelte, nonostante il ciclone Luca Palamara (ora ex magistrato) che ha scoperchiato le anomalie del Csm, restano in balia delle correnti e delle onde turbolente di natura politica. Cambiano i nomi, ma le vecchie e cattive abitudini restano.