Zona 30 a singhiozzo, Italia fanalino di coda. Ritardi e inquinamento: solo pregiudizi

L'urbanista: "Garantiscono sicurezza stradale e salvano vite. Ma ci sono ancora troppe polemiche". Il sindaco di Cagliari (Anci): strisce pedonali da ripensare

Sicurezza stradale e zone 30: le città rallentano per salvare vite. Ma a che punto siamo con il club della mobilità slow, partita in Italia nel 1995? Molto in ritardo, a sentire l’architetto milanese Matteo Dondé, allievo dell’urbanista svizzera Lydia Bonanomi, una pioniera.

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Zone 30, siamo in ritardo

"Oggi c’è più attenzione – concede l’esperto –. Ma rispetto al resto d’Europa siamo rimasti indietro. Le prime zone 30 sono partite in Olanda, era la fine degli anni Sessanta. Parigi, Amsterdam, Berlino, Copenaghen sono modelli. Ma anche Barcellona. La Spagna ha cambiato il codice della strada e ha approvato una legge che prevede i 30 all’ora in tutte le città".

Sicurezza stradale 

"Tempi di percorrenza e inquinamento? Pregiudizi che si smontano con i dati – è deciso Dondé –. Anche perché nelle ore di punta la velocità media in Italia è tra i 18 e 20 km orari, la stessa che avevano le carrozze nell’Ottocento". Invece, elenca l’architetto, "le zone 30 ci fanno guadagnare anche nella qualità della vita. Meno spazio alle auto, marciapiedi più larghi e più alberi, magari. Commercio danneggiato? Gli studi fatti in tutto il mondo dimostrano l’esatto contrario, i negozi locali ci guadagnano".

Le città più virtuose 

Il limite dei 30 all’ora, in centro o in periferia, è una rivoluzione lenta che passa da Reggio Emilia a Olbia, da Bologna a Milano. Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari e responsabile traffico nell’Anci – l’unione dei Comuni – manda avanti due numeri. "Nel 2020 siamo passati da 4 a quasi 10 km di zona 30, tra centro e periferia. Il tema è ormai un patrimonio comune delle nostre città. Ora bisogna investire sulle infrastrutture. A Cagliari abbiamo fatto le zone 30 mettendo cartelli di divieto ma abbiamo creato sistemi ’fisici’ di rallentamento del traffico solo in alcune zone, anche per problemi di bilancio e risorse".

Spazi (e strisce pedonali) 

Ma cosa dobbiamo metterci nelle zone 30? Oltre a cartelli, dissuasori di velocità e naturalmente pattuglie per i controlli? Come devono essere ripensate, ad esempio, le strisce pedonali? Il presidente dell’Asaps Giordano Biserni ha ricordato i numeri choc nel luogo che abbiamo sempre considerato come il più sacro della strada: 6.762 incidenti con 180 morti (157 in città e 23 in periferia) e oltre 10.000 feriti (dati 2021). "Stiamo installando strisce sopraelevate, non solo nelle zone 30 ma soprattutto lungo le arterie a scorrimento più veloce", fa sapere il sindaco di Cagliari. Riflette: "In passato ci siamo convinti che le ’zebre’ garantissero sicurezza. In realtà quando ce ne sono troppe, alla fine diventano insignificanti per l’automobilista". Quindi? "Quindi bisogna fare educazione, sia per chi guida che per i pedoni. E magari per gli uffici urbanistica... "Anche", ammette Truzzu.

"I cartelli di divieto non bastano"

Ma per l’architetto Dondé "nelle zone 30 neanche ci dovrebbero essere le strisce. Pedoni e ciclisti hanno sempre la precedenza ovunque, è il modello Berlino. Invece le nostre zone 30 sono un po’ ibride, c’è scarsa capacità tecnica di realizzarle. Per noi la strada è dell’auto, non c’è cultura della sicurezza. Siamo l’unico paese europeo a non avere linee guida per i tecnici. Chiaro che se metto un pittogramma per terra e ho davanti un’autostrada, l’automobilista non rispetterà mai quel segnale. E siamo tra chi fa meno controlli sulle strade. Un decimo, rispetto al Nord Europa".