Paolo Bellini chi è, il ritratto della 'primula nera'

Dalle accuse per la strage del 2 agosto a Bologna, alla latitanza in Sud America fino ai malori in aula. Ecco il profilo dell'ex estremista di Avanguardia nazionale

Il brasiliano Da Silva (a destra) confessa di essere Paolo Bellini

Il brasiliano Da Silva (a destra) confessa di essere Paolo Bellini

Bologna, 6 aprile 2022 - “Presidente, non è mica cosa da poco essere accusato di una strage come quella di Bologna sapendosi innocente. Avrei per caso dovuto mentire?”. Primo dicembre 2021, per la terza volta in una settimana l’imputato Paolo Bellini, una delle figure più inquietanti e misteriose dell’Italia del Dopoguerra, tornò a parlare. A sfogarsi. A raccontare la “sua” verità durante le sette ore a passa in aula di domande di Procura generale e parti civili che da anni lo accusano di essere il “quinto uomo” della carneficina del 2 agosto 1980 alla stazione. Tragedia per cui oggi è stato condannato all'ergastolo.

Bellini: "Non c'entro con questa strage infame" Classe 1953, sangue reggiano, la ‘primula nera’ sarà coinvolto in tanti misteri della storia d’Italia, tra cui la strage di Bologna, la strage di Capaci, la trattativa Stato-mafia. Ex estremista di destra nel gruppo di Avanguardia Nazionale, dal 1976 fu latitante in Sudamerica e riuscì a girare indisturbato per il mondo “protetto dai Servizi deviati” e con l’alias del brasiliano Roberto Da Silva. E ogni sua parola, da sempre, genera rabbia, indignazione, polemica. Come quelle sputate fuori all’ingresso in tribunale il giorno della prima udienza il 16 aprile 2021: “Come mi sento? Come Sacco e Vanzetti”. I due anarchici condannati a morte in America per un omicidio mai commesso e riabilitati solo 50 anni più tardi. Storia. Nel 1999 Bellini confessò d’aver ucciso un commilitone della prima giovinezza, Alceste Campanile, l’ex militante del Fronte della gioventù che, con il passare del tempo, lasciò la destra per avvicinarsi all’estrema sinistra. Bellini raccontò d’aver raccolto in auto Campanile, che chiedeva un passaggio per strada, e di avergli sparato. “Uccidere Alceste è stata la cosa più stupida che ho fatto nella mia vita – disse davanti alla Corte il 24 novembre 2021 –. Questa cosa me la porto dentro e mi corrode”.

Due malori accusati in aula durante il dibattimento, un’operazione delicata al cuore la primavera scorsa, un mese di stop forzato del processo per attendere la guarigione e non creargli troppo stress e infermieri e medici sempre presenti in tribunale per misurargli la pressione ogni ora. Per lui, già collaboratore di giustizia ma uscito da ogni programma di protezione, la Procura generale chiese addirittura il carcere: “Ci sono ancora oggi – così i magistrati –, 40 anni dopo, esigenze cautelari per arrestarlo: pericolo di fuga e inquinamento probatorio”. Il gip rigettò e Bellini restò libero. Per l’accusa avrebbe agito con i Nar già condannati (Mambro, Fioravanti, Ciavardini e Cavallini, quest’ultimo solo in primo grado) e con “altri da identificare, allo scopo di attentare alla sicurezza interna dello Stato”.

“Ma io sono innocente, non ero a Bologna”, sussurrò il reggiano alla ’prima’ davanti alla Corte, maglia a rombi, profilo basso, mascherina bianca a nascondere naso e bocca. L’opposto di quel freddo killer pagato anche dalla ’ndrangheta, prosciolto nel 1992 da ogni accusa di strage, ’richiamato’ nel 2018 dai magistrati Alberto Candi, Nicola Proto e Umberto Palma per questo nuovo e lungo processo.

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