"Bologna era unica, Zanetti un maestro"

Pupo Dall’Olio "Sotto rete ci siamo divertiti con la Zinella, quel gruppo era speciale. Non era facile diventare importanti a BasketCity" .

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di Doriano Rabotti

"Bologna è la mia seconda piazza pallavolistica, solo a Modena ho giocato di pù. Spero davvero che un giorno il volley sotto le Due Torri possa tornare ai livelli del passato, perché la base è ricca e se lo meriterebbe".

Pupo Dall’Olio, Francesco all’anagrafe dove la sua nascita fu registrata nel dicembre del 1953, sotto rete è un’istituzione. Per quello che ha vinto, perché ancora oggi è un modello di riferimento tecnico per qualsiasi alzatore, per la serietà nei comportamenti. A Bologna ha lasciato un ricordo indelebile.

Dall’Olio, lei alla Zinella è tornato tre volte.

"Complessivamente ci ho giocato sei stagioni in undici anni. La prima volta vincemmo la Coppa Italia, l’ultima riportammo il club in A1. Sono tutti momenti che ricordo con piacere".

La Coppa Italia, nel 1984, fu una sorpresa che annunciava la crescita della Zinella che avrebbe vinto lo scudetto l’anno dopo.

"Non eravamo i favoriti, ma la pallavolo stava vivendo un momento molto positivo, nonostante la concorrenza di calcio e basket. Non per niente Bologna ancora oggi è BasketCity: quando ci allenavamo noi al PalaDozza, le righe del nostro campo erano fatte con il nastro adesivo e venivano tolte cinque minuti prima della fine perché stava arrivando la Virtus per allenarsi. Io venivo da Modena, dove la pallavolo è importante quanto il basket a Bologna, e la cosa mi stupì".

L’anno dopo, quando la Mapier vinse il tricolore, lei era avversario nella ‘bella’ di Reggio Emilia, in maglia Panini.

"Quella rimane una delle più grandi delusioni sportive della mia carriera, a Modena pensavano che dovessimo vincere per forza, la Zinella aveva la testa più libera e vinse con merito".

Chissà che rivalità con i bolognesi doc in squadra, prima e dopo.

"Era molto bella, i bolognesi hanno un’ironia innata, noi non ci tiriamo indietro. Ma nessuno ha mai superato i confini della goliardia".

Con Babini, De Rocco, Squeo, Recine, Piva...di goliardia ce n’era parecchia.

"E’ vero, ci siamo divertiti. Bologna era bellissima da vivere, uscivamo spesso insieme. Andavamo alla Buca delle Campane, o in locali sotto i portici di via San Vitale, qualche volta in discoteca. Erano tempi diversi, non c’era la pressione dei social, se ti vedevano a ballare nessuno rompeva le scatole. Anche se una cosa va detta".

Quale?

"Quei gruppi stavano benissimo in ‘baracca’, ma poi quando c’era da allenarsi e giocare facevamo tutto molto seriamente. Aver avuto come allenatore Nerio Zanetti, che pure era fantastico a raccontare barzellette, fu molto importante".

Perché?

"Perché lui era un ottimo tattico e sapeva motivare i gruppi, ma prima di tutto era un insegnante, un educatore. Formava persone, prima che atleti. Quando lo conobbi io ero già grande, provavo a confrontarmi con lui perché pensavo che si potesse tirare di più in allenamento, per esempio".

E lui?

"Mi diceva che a certi livelli dovevamo arrivare per gradi, per non bruciare i più giovani. Io allora non capivo, appena ho iniziato ad allenare invece ho realizzato che aveva ragione lui. Il buon senso vale più delle cose scritte sui libri".

Il primo ritorno fu nell’87.

"Sì, e trovai un altro allenatore come Anders Kristiansson, che creò il fenomeno della Svezia. Portò metodologie interessanti, era un pragmatico, mi fece crescere tecnicamente".

Infine con la Fochi nel ‘92.

"C’era un progetto, centrammo subito la promozione dall’A2 e poi ci salvammo in A1, poi le cose cambiarono e in pratica iniziò lì il declino del volley bolognese".

Il suo allievo Brogioni sta lavorando per farlo ripartire.

"Lo so, l’anno scorso aveva fatto una squadra di tutto rispetto con giocatori di categoria importanti. Speriamo riescano ad avere sempre lo stesso entusiasmo perché il problema di Bologna negli anni è stato questo. Io adesso alleno la Stadium Mirandola, se faranno gironi geograficamente più ridotti potremmo anche trovarci di fronte".

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