Cesena, 4 maggio 2012 - LA SALUTE compromessa per sempre e la vita rovinata. Tutta colpa di quella protesi, un’anca al titanio, che le venne applicata nel novembre 2008 nell’Istituto clinico Sant’Anna di Brescia, sua città d’origine e che le ha provocato una devastante metallosi. Giovanna Vacchelli, 54 anni, dal 1993 residente a San Mauro Mare, all’inizio del 2008 cominciò a soffrire di necrosi ossea asettica. Una malattia che è andata peggiorando di settimana in settimana fino all’intervento necessario per potere continuare a camminare in quanto la donna era già finita in carrozzina. Una malattia terribile che la portò anche a lasciare il lavoro nella sua piadineria su lungomare Vincenzi a San Mauro Mare.
 

Come avvenne la scelta dell’anca al titanio?
«Fu una decisione del chirurgo dell’ospedale di Brescia. Io non sapevo che mi avrebbero impiantato una protesi al titanio. Mi sono fidata del medico, di cui, nonostante tutto, ho ancora tanta stima perché è un grande chirurgo. Ma la sorpresa è stata all’uscita dalla sala operatoria: avevo una insufficienza epatica e renale, ero diabetica e avevo una infezione».
Qual è stata la causa di tutti questi problemi di salute?
«Il chirurgo non ha mai ammesso che possa esistere la metallosi e che queste protesi possono rilasciare particelle di cobalto e cromo nei soggetti in cui vengono impiantate. Solo il 31 marzo 2011 mi è arrivata una lettera dall’ospedale in cui mi si diceva che mi dovevano sottoporre subito a controlli radiografici e a prelievi di sangue per accertare il dosaggio degli ioni metallici eventualmente presenti. Non ho mai saputo il numero esatto delle protesi all’anca impiantate in esseri umani nel mondo anche se si parla di cinquemila».
Come sono stati gli anni successivi all’impianto della protesi?
«Continui ricoveri al day hospital all’ospedale Bufalini di Cesena in gastroenterologia, dove medici e infermieri mi hanno seguito con grande professionalità e dedizione a cominciare dal primario professore Paolo Pazzi e tutta l’equipe. Ho dovuto affittare l’attività e non sono più stata in grado di provvedere neppure a me stessa. Poi, visto che il cobalto risultava altissimo e che ormai non riuscivo più di nuovo a camminare, a Cesena hanno deciso di operarmi di nuovo, togliermi la protesi al titanio e sostituirla con una di osso e ceramica. Il 10 ottobre 2011 mi ha operata in dottore Monesi, in condizioni disperat. Sono stata in terapia intensiva e poi, dopo una degenza di nove giorni, sono stata dimessa».
Oggi come è il suo stato di salute?
«Cammino e questa è la cosa più importante. Prendo una ventina di compresse al giorno e faccio la mia terapia settimanale al day ospital del Bufalini di Cesena dal professore Pazzi. Ma quello che è più importante è che ho ripreso il mio lavoro di piadinara perché è una attività che voglio lasciare ai miei tre figli».
Ha denunciato qualcuno per questa situazione terribile che ha vissuto?
«Io no, anche perché credevo che fosse l’ospedale di Brescia a farlo, dove mi è stata impiantata la protesi al titanio. Ho vissuto tre anni da incubo e porterò per tutta la mia vita le conseguenze del titanio ».
Ci sono altre persone che hanno subìto danni da protesi al titanio?
«Ho l’impressione che per molto tempo si sia tentato di tenere nascosto questo problema. La ditta produttrice infine ha ritirato le protesi al titano e il Ministero della salute italiano nel novembre 2011 ha ordinato accertamenti sulle persone che avevano subito impianti al titanio. Tutti mi hanno consigliato di non denunciare una multinazionale, perché butterei via solo dei soldi in avvocati. L’argomento è stato trattato e denunciato ripetutamente anche da Striscia la notizia. Semmai, ripeto, a denuncia e rivalsa danni dovrebbe pensarci l’ospedale di Brescia. Ma loro sono ancora convinti di avere fatto un buon lavoro. Invece se non ci fossero stati i medici del Bufalini di Cesena io, oggi, non sarei qui a raccontare la mia terribile storia».

di Ermanno Pasolini