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Rimini, Parma e Venezia le città più care d’Italia. L’inflazione galoppa in Veneto ed Emilia Romagna

Spesa in amento per le famiglie venete, nella top10 dei capoluoghi più costosi anche Padova e Verona. Dove si spende meno e quali sono i prodotti che pesano sul bilancio delle famiglie

Cresce l'inflazione in tutta Italia, l'Unione Consumatori ha stilato la lista delle regioni e dei capoluoghi più cari

Bologna, 17 giugno 2024 – Rimini e Parma sono le città più care d’Italia. Il Veneto è la regione ‘maglia nera’ per spesa pro capite, seguita al secondo e terzo posto da Toscana ed Emilia Romagna. Nella top10 dei capoluoghi più costosi ci sono anche le tre punte venete di  Venezia, Padova e Verona

È la fotografia scattata dall’Unione Consumatori dopo le ultime stime dell’Istat sull’andamento dell'inflazione. L’Indice nazionale dei prezzi al consumo (Nic), al lordo dei tabacchi, nel mese di maggio è aumentato mediamente dello 0,2% su base mensile e dello 0,8% su base annua (come nel mese precedente).

Le città più care d’Italia

Si contendono il podio con un ‘ex aequo’ i due capoluoghi dell’Emilia Romagna, Rimini e Parma, dove le famiglie spendono in media 369 euro in più rispetto al resto del Paese. Mentre la terrà di Zaia risulta essere la regione più costosa, qui l’inflazione galoppa: +1,3%, che si traduce in 324 euro in più nel bilancio familiare annuale.

Medaglia d'argento per Venezia, dove il rialzo dell'inflazione dell'1,4% determina un incremento di spesa annuo pari a 369 euro a famiglia. Al terzo posto c’è Firenze: qui, per mettere in tavola i pasti e acquistare i beni di prima necessità, si spendono 366 euro annui per nucleo familiare.

Dove si spende di più 

Nella top ten dei capoluoghi di regione e dei comuni con più di 150 mila abitanti con la spesa più alta ci sono altre città venete. Appena fuori dal podio, al quarto posto troviamo Cagliari (+1,5%, pari a 312 euro), seguita da Padova (+1,2%, +308 euro) e Trieste (+1,2%, +293 euro).

Al settimo posto c’è Milano in ex aequo con Napoli con +286 euro, poi Verona (+1,1%, +283 euro) e Perugia (+1,1%, +270 euro). Chiude la top ten la città di Roma (+0,9%, +233 euro).

Dove si spende meno

Nella graduatoria delle città più virtuose d'Italia, vincono tre città che mostrano segnali di deflazione. Al primo posto c’è Aosta, dove la deflazione pari a -0,6% si traduce nel maggiore risparmio pari per una famiglia media a 156 euro su base annua. Medaglia d'argento per Campobasso (-0,5%, -104 euro), seguita da Ancona (-0,2%, -44 euro).

Veneto, la regione più costosa

In testa alla classifica delle regioni più costose, con un' inflazione annua a +1,3%, il Veneto che registra a famiglia un aggravio medio pari a 324 euro su base annua. Segue la Toscana, dove la crescita dei prezzi dell'1,1% implica un'impennata del costo della vita pari a 272 euro, terza l'Emilia Romagna (+0,9% e +237 euro). Le regioni migliori, addirittura in deflazione, Valle d'Aosta (-0,8%, pari a un risparmio di 208 euro) e il Molise (-0,4%, -83 euro). In terza posizione l'Abruzzo, con una variazione nulla.

La lista della spesa: quanto spendiamo

L'aumento dell'indice generale riflette, per lo più, la crescita dei prezzi dei beni energetici regolamentati (+1,9%), dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+1,5%) e dei beni alimentari non lavorati (+1,4%). Gli effetti di questi aumenti sono stati solo in parte compensati dalla diminuzione dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (-1,1%) e dei beni durevoli (-0,5%).

La stabilità dell'inflazione, scrive l'Istat, mostra andamenti contrapposti nelle diverse categorie merceologiche. In rallentamento i prezzi dei beni alimentari lavorati (da +2,5% a +1,8%), dei servizi per i trasporti (da +2,7% a +2,4%) e dei servizi relativi all'abitazione (da +2,8% a +2,6%).

A maggio l'inflazione di fondo, quella al netto degli energetici e degli alimentari freschi, decelera così come quella al netto dei soli beni energetici (entrambe da +2,1% a +2%). La dinamica dei prezzi dei beni registra una flessione leggermente più ampia (da -0,6% a -0,9%) e quella dei servizi è stabile (a +2,9%), determinando un aumento della forbice tra il comparto dei servizi e quello dei beni (+3,8 punti percentuali, dai +3,5 di aprile).