L’omicidio Mandolini: da Gladio alla mafia, gli intrecci misteriosi dietro la morte del parà

Fu trovato massacrato su una scogliera, ancora nessun colpevole. Ma il caso è stato riaperto. "Mancano responsabili e movente". Sullo sfondo i collegamenti col maresciallo Li Causi e la giornalista Alpi.

Marco Mandolini, il parà ucciso a 36 anni

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Ancona, 16 aprile 2023 – E’ una di quelle storie destinate a finire nell’imbuto dei misteri italiani. La morte di Marco Mandolini, il parà della Folgore originario di Castelfidardo brutalmente assassinato il 13 giugno del 1995 sulla scogliera del Romito, a Livorno, è intrecciata a mille altre vicende che nulla hanno a che vedere con lui, la sua famiglia, il suo curriculum.

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Storie nel solco dei più grandi misteri italiani. Basti pensare a un solo elemento: Mandolini era amico e collega del maresciallo Vincenzo Li Causi, un militare del Sismi morto ammazzato nel 1993 in Somalia dal cosiddetto "fuoco amico" alla vigilia di un suo ritorno a Trapani dove i magistrati volevano sentirlo ancora sugli affari della Gladio siciliana. Un’organizzazione paramilitare nata nell’ambito dei servizi segreti, ufficialmente per scongiurare una possibile invasione militare dell’allora Unione Sovietica nei territori occidentali. Gladio ebbe ragion d’essere proprio nel territorio siciliano, ma nessuno ha mai capito veramente il perché. Li Causi e Mandolini condividevano molte informazioni su Gladio.

Una storia mai chiarita, sulla quale si staglia inquietante un altro dei grandi gialli italiani, la morte per mano mafiosa di Mauro Rostagno. Il giornalista e sociologo venne assassinato il 26 settembre 1988 a Valderice per volere di Ciccio Messina Denaro, padre di Matteo, il capo di Cosa Nostra catturato il 18 gennaio scorso in una clinica di Palermo dopo una vita da latitante. Rostagno fu ucciso per aver tolto i veli sugli intrecci tra mafia, massoneria e politica nel Trapanese. Tra le tante inchieste delicate di cui si occupò, ce n’era una particolarmente scottante, avente ad oggetto Gladio. Rostagno custodiva una videocassetta nella quale avrebbe filmato un transito dì rifiuti tossici sull’allora pista dell’aeroporto di Trapani Chinisia.

Una recente puntata di Atlantide, condotta dal giornalista e scrittore Andrea Purgatori, ha testimoniato anche visivamente le tracce di ciò che stiamo raccontando. Lo scalo di Chinisia, votato più ad un utilizzo militare che civile, chiuse i battenti con l’arrivo dell’attuale aeroporto di Trapani Birgi. Situato 16 chilometri a sud di Trapani, secondo molti Chinisia sarebbe stato utilizzato dalla struttura paralimitare siciliana di Gladio come scalo di addestramento. Per prepararsi a cosa? Rostagno sarebbe riuscito a filmare un traffico illecito di armi e rifiuti tossici verosimilmente diretti in Libia e in Somalia. Il centro Skorpion gestito da Gladio nel Trapanese, secondo il giornalista assassinato, non poteva non sapere che cosa succedeva a Chinisia. Il centro Scorpione era attivo a Trapani già dal 1987 ed era controllato dal maresciallo Vincenzo Li Causi.

Li Causi e Mandolini, dunque. Entrambi nei servizi segreti, entrambi morti ammazzati in circostanze mai chiarite. Il killer del parà di Castelfidardo fu particolarmente feroce. Marco venne finito con un colpo di pietra alla testa. Mandolini, come Li Causi, sapevano tutto dei rapporti tra l’Italia e la Somalia. Così come sapeva la giornalista Ilaria Alpi che venne assassinata insieme al suo operatore Milan Hrovatin forse per aver ficcato il naso in un traffico illecito di armi e rifiuti tossici dall’Italia alla Somalia.

Dunque: Mauro Rostagno, Vincenzo Li Causi, Marco Mandolini, Ilaria Alpi e Milan Hrovatin. Tutti morti nel mistero, tutti probabilmente accomunati da un unico filo tirato da una stessa mano. La famiglia di Marco Mandolini non si è mai arresa. Il trascorrere del tempo non ha scalfito minimamente la sete di verità e di giustizia: "E’ un omicidio ancora oggi senza responsabili e senza un movente chiaro, anche se le tracce ci sono e hanno permesso la riapertura del caso".

Una pista, individuata nel 2018 dal criminologo Federico Carbone, oggi percorsa assieme all’avvocato Dino Latini, sempre a fianco della famiglia in questo cammino irto di ostacoli. "C’è bisogno di ridare dignità a una morte macchiata dal disonore – dice Carbone -. Mano a mano che proseguiamo con le indagini emergono particolari inquietanti. Sono riuscito a dimostrare che Marco Mandolini e Vincenzo Li Causi, militare appartenente alla VII Divisione del Sismi, capocentro della base Skorpione di Trapani, famosa postazione di Gladio, morto a Balad in Somalia, il 12 novembre 1993, si conoscevano molto bene. Così come si conoscevano Mandolini e la giornalista Ilaria Alpi. Mandolini aveva confidato alla sorella che non era convinto della dinamica dell’uccisione di Li Causi. Aveva cominciato ad avviare indagini riservate e parallele sulla morte del commilitone".

È da questo dettaglio che è iniziato il lavoro di indagine che ha portato alla riapertura del caso. "Da un lato ci sono le indagini che Mandolini stava eseguendo sulla vicenda Li Causi, dall’altro la presenza nella "lista Fulci" dello stesso Li Causi e della persona che indirizzerà le indagini sulla morte di Mandolini verso la pista omosessuale. In più ci sono documenti che dimostrano il lavoro congiunto di Mandolini e Li Causi. Ci sono elementi tali che potrebbero mettere addirittura in discussione il giorno del decesso. La famiglia ha impedito l’archiviazione del caso e dato il via a un nuovo filone di indagine che appunto è ancora in corso. Marco Mandolini non era sicuramente un semplice militare ma legato ai Servizi. Intanto sulla scogliera del Romito c’è una bandiera italiana a sventolare. E un quadretto con il volto fiero del parà. Vittima dell’ennesimo mistero italiano.