BENEDETTA CUCCI
Cultura e spettacoli

Minervini premiato a Cannes: “Porto dentro le Marche operaie”

Il regista: “Formato in una regione che aveva voglia di rivalsa: il marchigiano dell’entroterra, proprio per natura, anche nel vernacolo, è di per sé un outsider mediatico”

Roberto Minervini è nato a Fermo nel 1970 ed è cresciuto a Monte Urano

Roberto Minervini è nato a Fermo nel 1970 ed è cresciuto a Monte Urano

Cannes, 25 maggio 2024 – ‘I dannati’, primo lungometraggio di finzione di Roberto Minervini, ha vinto il premio per la migliore regia nella sezione Un Certain Regard, di fatto il secondo concorso per importanza del festival di Cannes. Noto per la sua straordinaria qualità come documentarista, questa volta Minervini costruisce una intensa riflessione sulla violenza all’interno di una storia ambientata durante la Guerra di Secessione americana. L’episodio narrato dal film è quello di un plotone di soldati confederati che attende un nemico invisibile. Il film è coprodotto da Rai cinema ed è attualmente nelle sale con Lucky Red. Roberto Minervini è nato a Fermo nel 1970 ed è cresciuto a Monte Urano: si è laureato in Economia e Commercio ad Ancona. Dai primi anni Duemila vive e lavora tra l’Italia e gli Stati Uniti.

“Per molti di noi essere a un festival è ragione di sopravvivenza e i nostri film esistono perché ci sono festival come Cannes e sorprese come questa”.

Dopo tre presenze al festival di Cannes nell’arco di undici anni (coi documentari “Stop the pounding Heart” nel 2013 e “Louisiana” nel 2015) il regista marchigiano Roberto Minervini, classe 1970, è finalmente arrivato venerdì sera alla consacrazione, aggiudicandosi il premio Un Certain Regard – il secondo concorso dopo quello principale, nello specifico dedicato ai linguaggi all’avanguardia - con il suo “I dannati” (tra i produttori Teresa Mannino) per la migliore regia cinematografica. Una bella soddisfazione, ammette il regista da tanti anni “americano”, dopo quattordici anni vissuti in Texas e tre a New York, dove vive attualmente. “I dannati”, un film in costume sulla guerra di Secessione per parlare della guerra come condizione esistenziale e atto disumanizzante, è però un ritorno alla fiction dai tempi degli esordi, ma la regia “Minervini Style” c’è tutta in quel non dare tregua ai protagonisti che vengono pedinati dalla macchina da presa.

Roberto Minervini, tre volte a Cannes e pure premio per la miglior regia: qualche collega italiano potrebbe essere invidioso?

“Credo che Cannes cerchi di instaurare un rapporto continuativo con alcuni degli autori e devo ammettere che con il festival questo rapporto si era già instaurato ancor prima che io venissi selezionato nel 2013. Mi seguirono fin dal primo film “The Passage” e la relazione è sempre stata costante”.

Anche in “I dannati” il linguaggio del documentario nel girare e riprendere è sempre dietro l’angolo. Che ne pensa?

“E’ vero. Esiste come approccio ed è comune a tutti i miei film questo pedinamento da parte della macchina da presa che restituisce una sensazione fortissima di vicinanza anche del cineasta nella costruzione della storia e dei personaggi. Da questo punto di vista il mio cinema non è cambiato, la scrittura avviene sempre in fase di produzione e post produzione, quindi parte durante le riprese e non le precede, perché io arrivo alla produzione di un film con un’idea di base, che in questo caso riguardava la struttura, questa specie di trittico con un piccolo intermezzo, un prima, durante e dopo la battaglia. E’ fondamentale l’improvvisazione e partecipazione degli attori che scelgo davvero per quello che possono darmi nella performance di se stessi”.

Cresciuto tra gli anni Settanta e Ottanta nelle Marche, che ricordi ha?

“Stranissimi i posti dove sono cresciuto, l’entroterra fermano, posti dove negli anni Settanta e Ottanta il Partito Comunista prendeva quasi l’80% dei voti e allo stesso tempo il centro della società era la chiesa. Due poli opposti che si attraevano, una grande dissonanza, delle grandi tensioni interne che ci spingevano a prendere una posizione, c’era una grande durezza che si viveva in questi contesti”.

Ci sono temi a lei cari, come le piccole comunità ai margini. Un interesse che arriva dalle sue radici?

“La mia formazione è avvenuta nelle Marche operaie, dove esisteva questa voglia di rivalsa, un certo risentimento di essere così ai margini. In fondo il marchigiano dell’entroterra, proprio per natura, anche nel vernacolo, è di per sé un outsider mediatico, è poco rappresentato nei media e quindi c’è sempre stata questa sensazione di partire dalle retrovie e riuscire a sbarcare il lunario quasi per vocazione mi sento vicino a chi, contro ogni aspettativa, ce la fa. Vado sempre a guardare alle comunità, a quell’umanità che parte o è finita nelle retrovie. E mi riferisco anche alla comunità afro-americana da sempre osteggiata”.