In fila tra gioia e commozione. Il lungo abbraccio della città: "In questo luogo siamo a casa"

Uno dietro l’altro da Corso Giovecca tra fedeli, turisti e semplici curiosi: "Quanti ricordi, ci rappresenta". Nel 1173 l’incisione sul fianco meridionale della Cattedrale del decreto che sancì l’autonomia di Ferrara

Riaperta la cattedrale di Ferrara, il lungo abbraccio della città: "In questo  luogo  siamo  a casa"

Riaperta la cattedrale di Ferrara, il lungo abbraccio della città: "In questo luogo siamo a casa"

"Un luogo per tutti e dove tutti si sentono a casa". Le parole dell’arcivescovo di Ferrara, Gian Carlo Perego, danno la misura di quanto successo ieri pomeriggio, quando scorrendo Corso Martiri della Libertà dal suo incrocio con la Giovecca, e via via avvicinandosi alla Cattedrale di San Giorgio, pronta a riaprire al culto, schivando, a uno a uno, cittadini e turisti, la folla diveniva preponderante, ma – fatto strano – non si percepiva un senso di confusione. Anzi, lo si poteva quasi definire un senso di ordine familiare e, in definitiva, di unione, di comunità. La stessa comunità che quasi novecento anni fa, nel 1173, incise ad altezza d’uomo, sul fianco meridionale della Cattedrale, il decreto che sancì l’autonomia di Ferrara. L’idea è commovente. In quel momento, gli abitanti divennero cittadini e diedero forma al loro nuovo statuto, segnandolo sulla pietra del primo simbolo della città: il Duomo, sede religiosa e politica.

Ebbene, ieri, con altrettanta commozione la cittadinanza ferrarese ha salutato la tanto desiderata riapertura dell’edificio di culto, che ha dimostrato, ancora dopo secoli, la capacità di unire mondo laico e mondo religioso, in un solo, ideale spazio di condivisione. Il fatto, poi, che l’occasione liturgica fosse legata alla Domenica delle Palme, concentrata sulla Passione di Cristo secondo il vangelo di Marco e, quindi, sui momenti che più hanno evidenziato la natura umana di Gesù e, insieme, il suo collegamento con il Padre, ha permesso un maggiore coinvolgimento da parte di una platea amplissima ed eterogenea: amministratori e autorità, in prima fila, lasciavano il posto a bambini e adulti, madri con le figlie, padri con i passeggini, mariti e mogli, giovani, turisti e anziani, che magari in coppia, sfiorandosi le mani durante la liturgia, hanno ricordato la loro infanzia, i giorni di Natale, ogni Pasqua trascorsa lì, proprio lì, all’ombra dell’abside azzurro, con le fronti rivolte al Giudizio Universale del Bastianino, assecondando la meraviglia.

Sotto quell’abside, le voci del coro emergevano, ieri pomeriggio, sollecitando la partecipazione: così, nella Cattedrale, non importava il reale sentimento di chicchessia verso Dio, perché chiunque percepiva un’inedita empatia per le vicende terrene di Gesù, tanto che, alla fine della messa, almeno una nota si può pensare l’abbia cantata anche il più scettico dei presenti. Certo, forse non con lo stesso trasporto di chi ha percorso, in ordinata fila indiana, la navata centrale, portando in processione, dal cortile del Palazzo Arcivescovile, il crocifisso, fino a sotto l’altare del Duomo.

Dietro la croce – che per prima emergeva dalla folla e dalla luce proveniente dal portone aperto dell’edificio – giovani a volte sorridenti, a volte rossi dall’imbarazzo, non abituati a transitare sotto gli occhi di centinaia di persone, reggevano in alto (i più piccoli faticando) le palme e gli ulivi della cerimonia. Ancora dietro, i ministri istituiti, i diaconi e i sacerdoti avanzavano a passo lento, precedendo l’arrivo in chiesa dell’arcivescovo Perego, visibilmente ispirato, ma altrettanto emozionato, consapevole dell’impresa di aver dato vita, con la riapertura della Cattedrale, a "una festa per la nostra città e per i paesi del territorio che la amano e la sentono come familiare", e di aver reso così concreta l’idea che al di là delle impalcature, oltre le crepe degli intonaci, la Cattedrale di San Giorgio, scalfita dal tempo, rappresenta ancora Ferrara, dalla sua nascita fino ad oggi.