MADDALENA DE FRANCHIS
Cronaca

L’algoritmo del successo: "Dalla scuola allo sport, così si diventa grandi"

Una medaglia d’oro alle Olimpiadi, la vittoria nella finale di Champions, una performance brillante al lavoro. Tutti successi dovuti a una combinazione armoniosa di più fattoriPubblicato lo studio del team di Ferrari, docente di Leadership al Campus

Pubblicato lo studio del team di Ferrari, docente di Leadership al Campus

Pubblicato lo studio del team di Ferrari, docente di Leadership al Campus

Forlì, 3 marzo 2025 – Una medaglia d’oro alle Olimpiadi. La vittoria nella finale di Champions League. Una performance brillante in qualunque ambito lavorativo. Tutti successi dovuti a una combinazione armoniosa di più fattori, sia personali che ambientali. Un mix perfetto in cui la fortuna, il caso, il cosiddetto ‘essere predestinati’ contano poco o nulla: è una delle conclusioni cui è giunto, dopo uno studio durato oltre dieci anni, il gruppo di ricerca guidato da Filippo Ferrari, docente di Leadership ai corsi di Economia del Campus universitario di Forlì. L’articolo scientifico che ne ha restituito gli esiti è stato pubblicato dalla prestigiosa rivista ‘Business Process Management Journal’.

Professor Ferrari, cominciamo da un esempio. Cosa rende Jannik Sinner il numero uno al mondo nel tennis?

"Per prima cosa, è dotato di un fisico e di una personalità adeguati al gioco del tennis (caratteristiche personali). Poi possiede eccellenti livelli di tecnica tennistica (abilità). Infine, si allena e gareggia con intensità, tenacia e dedizione (motivazione). Questi fattori sono alla base della performance di qualunque tennista, anche mediocre, ma in Sinner hanno valori estremamente elevati".

Nel vostro lavoro di ricerca, dunque, avete individuato e misurato i fattori alla base della performance, arrivando a una sorta di algoritmo.

"È più corretto dire che li abbiamo identificati e misurati con un’equazione che comprende la somma di abilità, motivazione e caratteristiche personali, cui si aggiunge il contesto esterno in cui tali fattori maturano".

È possibile prevedere quanto incide ciascun fattore sul risultato finale?

"Lo studio dimostra che i fattori personali influiscono tra il 40 e il 65% sul risultato finale della prestazione, mentre una quota compresa tra il 35 e il 60% è determinata da fattori esterni".

Quali sono le possibili applicazioni del vostro studio?

"L’equazione può essere facilmente trasferita dall’ambito sportivo alla gestione delle risorse umane, consentendo di misurare gli indicatori che influenzano le prestazioni dei dipendenti. È un modello matematico, in grado di parlare un linguaggio universale: dunque può essere applicato a una molteplicità di settori, compreso quello della formazione (scuola, università, etc)".

La vostra ricerca manda definitivamente in soffitta la figura del ‘talent scout’ che, ad esempio nel calcio, era considerato depositario di quella capacità unica di ‘fiutare’ i talenti e favorirne l’ascesa.

"Vuole la verità? Sono figure romantiche che esistono solo nella letteratura. Al giorno d’oggi, le società giovanili, in qualunque disciplina sportiva, non fanno che raccogliere ed elaborare migliaia di dati, per arrivare a una previsione il più possibile precisa della performance di un atleta".

Cosa risponde a chi attribuisce la buona riuscita di una prestazione sportiva alla ‘genetica’?

"Non esiste performance di successo senza i fattori di cui abbiamo parlato. Dare importanza al solo talento è consolatorio per chi il talento non ce l’ha: anche la fortuna o il caso possono influire su un singolo risultato, non certo su un’intera annata o stagione. Nel lungo periodo, a eccellere sono i più bravi, non i più fortunati".

Cosa significa, quindi, ‘essere bravi’?

"Secondo la cultura anglosassone – figlia della religione protestante che è, per definizione, più attenta al merito e alla responsabilità individuale – una buona performance si articola in due componenti: self-efficiency (fiducia in sé stessi) e locus of control (spazio di controllo). Non ci sono complotti, né scuse: essere bravi dipende solo da noi stessi, è una nostra scelta. L’indole italiana – e, più in generale, mediterranea – tende a trascurare questo aspetto e ad attribuire ad altri la colpa dei nostri insuccessi. È un atteggiamento che finisce per limitare la crescita di un intero Paese dotato, di fatto, di un enorme potenziale".