
Imola, Profughi alla Pascola
Imola, 13 novembre 2014 - I wicket sono di fortuna, tre bastoni qualsiasi messi insieme per ricreare i tre paletti del loro gioco preferito. Il cricket. Quando arriviamo, quattro di loro stanno giocando nel campetto che un tempo ospitava porte e canestri. La mazza e la pallina sono vere, però, prestate da un connazionale oggi maggiorenne ma cresciuto in Italia in una comunità per minori gestita dal Solco. Tutti gli altri sono sparsi nel cortile e nelle ‘camerate’ e attendono l’inizio della visita istituzionale con il vicesindaco Roberto Visani, Luca Dalpozzo presidente del Solco, Bianca Lubreto della prefettura, Domenico Faiello dell’Ausl e don Gianluca Grandi della Caritas. Sono i profughi bengalesi – 40 in tutto – arrivati il 27 ottobre e, dopo tre giorni, aumentati di altri dieci. Vivono alla Pascola, l’ex centro psichiatrico dell’Ausl, una struttura nata prima come scuola, poi da vent’anni passata all’azienda sanitaria. Fino a fine settembre ospitava pazienti, ora con le sue 14 stanze e 7 bagni è rifugio per i profughi dell’operazione Mare nostrum. La gestione temporanea, affidata al Solco, scadrà il 27 ma la prefettura ha già emanato un bando per l’assegnazione definitiva fino al 30 giugno (chiude il 18). Il costo dell’affitto all’Ausl, su base annua, resta di 20.200 euro da coprirsi nell’ambito dei 34 euro al giorno di rimborsi per persona.
La presenza di quei 40 migranti, lunedì, ha dato luogo a una dura contestazione fuori dal centro tra la Lega (con Salvini) e Rc, Trama di Terre, Brigata 36 e privati. «Domenica abbiamo fatto una riunione dove abbiamo spiegato loro cosa sarebbe successo il giorno dopo – racconta Claudia Carloni, responsabile della struttura che ha otto collaboratori –. Erano molto spaventati, sono rimasti chiusi nelle loro stanze e, al nostro arrivo, avevano le tapparelle sigillate. Gli avevamo detto di stare in camera con la scusa di prendere il numero delle scarpe». Le loro storie, raccolte a frammenti dagli operatori, raccontano di una prima fuga dal Bangladesh verso la Libia, in cerca di lavoro, poi di una seconda, per la vita, su due barconi da 20 metri ognuno, approdati a Messina il 12 e 22 settembre. Tutti musulmani, tranne un induista, tra i 18 e i 42 anni, pregano in una stanza dove la direzione della Mecca è stata segnata sul muro grazie a una bussola. «Ogni giorno, dopo colazione, si occupano delle pulizie, poi ci sono le visite dell’Ausl e in questura – continua Carloni –. Nel pomeriggio, si fa almeno un’ora e mezza di alfabetizzazione italiana».