Prignano omaggia la beata Pellesi: "Un esempio di amore e umanità"

Cinquant’anni fa si è spenta dopo una vita di sofferenze affrontate sempre col sorriso: "Testimonianza da ricordare"

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Ricorre il 50esimo anniversario della morte di Bruna Pellesi, la ‘suora del sorriso’ di Prignano sulla Secchia, beatificata nel 2007. La sua parabola terrena di sofferenza e fede si chiude infatti il 1 dicembre del 1972 all’Istituto San Giuseppe di Sassuolo. La religiosa scompare a soli 55 anni, metà dei quali passati all’interno di sanatori per una grave forma di tubercolosi polmonare. Prima di spirare, confessa: "Lo dico in un momento in cui non posso tradire, quello che conta è amare il Signore". "Per la sua vita consacrata Bruna si é voluta chiamare Maria Rosa ‘di’ Gesù – sono le parole di padre Jean Marie Konan, parroco di Prignano – ed essere di Gesù significa averlo come sorgente e come fine della propria vita. Per questo è importante ricordare la sua testimonianza. Spesso chiediamo la sua intercessione perché ci aiuti a crescere nella nostra vita spirituale". "Sul territorio la sua devozione è molto sentita – conferma il sindaco, Mauro Fantini – da Morano a Pigneto. E tante persone sono impegnate nell’associazione ‘Amici di Suor Maria Rosa’ per mantenere vivo il suo ricordo, con iniziative e pellegrinaggi". La Causa di Beatificazione inizia già nel ‘77. Per la Chiesa Cattolica non ci sono dubbi: l’esempio di Bruna è un "capolavoro di umanità e amore, di abbandono e obbedienza, di mansuetudine e fortezza" dice il Cardinale José Martins durante l’omelia della beatificazione. Nata a Morano di Prignano, l’11 novembre 1917, è l’ultima di nove fratelli. Lavoro contadino, preghiera e canto sono il ‘collante’ di una fede semplice, autentica. Poco più che ventenne lascia la casa dei genitori e sei bambini, figli delle cognate prematuramente scomparse, che aveva "adottato", per partire alla volta di Rimini, intenzionata a entrare in convento. Veste l’abito delle Suore Terziarie Francescane nel 1941, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. La sua vita, che sembra aver trovato una nuova direzione, fortemente voluta dalla giovane donna, subisce però una svolta repentina nel 1945, quando è trasferita a Ferrara. Bruna si ammala gravemente di tubercolosi. Ha 28 anni, e soltanto cinque li ha passati in convento. Entra in sanatorio nella città estense e, dopo 40 giorni, viene trasferita alla ’Pineta’ di Gaiato, dove resterà sino al ‘48 per poi passare all’Ospedale Bellaria di Bologna quando le condizioni si aggravano. Prima di morire, tornata nella sua terra, i medici arrivano a estrarle cinque volte al giorno il liquido pleurico, è quasi cieca, ridotta a pesare 43 chili. Eppure trova sempre il coraggio di regalare un sorriso a tutti: "Sono felice perché muoio nell’amore".

Matteo Giannacco