Ravenna, 15 dicembre 2011 - L’ETICHETTA di pescatore di frodo gli sta un po’ stretta. Elio Ghiberti, classe 1928, si è sempre considerato e continua a considerarsi un fuorilegge. Il soprannome, Batono, lo ha ereditato dal capo guardia che lo braccava e di cui, si diceva, era più scaltro.

Nella vita ha fatto il bracciante e il camionista, il costruttore di barche e il falegname, tanto per arrivare alla pensione. Eppure il suo vero mestiere era un altro: il fiocinino. Il pescatore abusivo di anguille, la cui cattura e ‘marinatura’ sono monopolio dello Stato. In un periodo in cui, nelle Valli di Comacchio, il duello tra ‘guardie e ladri’ erano il pane quotidiano, Batono da Sant’Alberto era uno dei protagonisiti di questa lotta per la sopravvivenza.

«COMINCIAI a pescare le anguille da ragazzino, prima con l’amo poi con la fiocina. Prima per passione, poi per venderle ai bottegai e campare. Avevo anche la licenza di caccia, ma era un pretesto per pescare». Meglio, per inforcare le anguille, anche due tre per volta, quando in inverno si rintanavano sotto il fango, con la la fòsna. La fiocina che ha deposto solo alcuni anni fa, da quando decise di dedicarsi a tempo pieno alla sua seconda più grande passione, la costruzione di modellini di legno.

I suoi richiami per la caccia, che riproducono germani e codoni in scala ridotta, sono famosi. Si dice che gli avvocati di Bill Clinton ne possedessero alcuni. Ma la sua casa di via Rivaletto è un piccolo museo che ritrae in miniatura la sua vita e il paese, la valle e i suoi protagonisti. Ci sono attrezzi agricoli e trebbiatrici, della sua Sant’Alberto ha costruito in scala ridotta persino il Palazzone, simbolo della comunità. Ma la parte della ‘civiltà acquatica’ è quella prevalente. Ecco allora, sulle mensole dove ormai non passa più neppure per uno spillo, le attrezzature per la pesca delle anguille, le barche delle guardie e quelle dei fiocinini, diverse perché avevano una lampada immersa nell’acqua a prua. «Sto riproducendo un battello — racconta Ghiberti — per il nipote di una guardia che mi ha detto di non aver mai visto la barca di suo nonno».

Una guardia come quelle che un giorno, Ghiberti, per poco non lo facevano finire in prigione. Una notte del 1952, insieme a tre compari, fu sorpreso con un carico di 92 chili di anguille. Tra guardie e fiocinini ci si conosceva e ci si metteva d’accordo. Ma quella sera il parente di uno dei pescatori di frodo aveva bevuto e ‘cantò’, così il mattino dopo in paese tutti sapevano. Compreso il capoguardia Batono, che lo fece finire prima davanti al Tribunale poi, visto che la condanna a 10 anni di buona condotta fu ritenuta troppo lieve, anche in Corte d’Assise. «Quella mattina — ricorda Ghiberti — un uomo dietro le sbarre mi chiese cosa avevo fatto: ‘Ho rubato anguille, e tu?’. ‘Io — mi rispose — ho ucciso l’amante’...».