Le mascherine presunte false importate dalla Cina durante la pandemia sarebbero state certificate da un laboratorio di Reggio. Passa anche dalla nostra città lo scandalo nazionale che ha travolto l’ex commissario straordinario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri.
"Arcuri sapeva sin dal principio che non erano conformi, perché nella documentazione c’è scritto che ancor prima di partire, a riferirlo è lo stesso Antonio Fabbrocini (responsabile unico del procedimento per la struttura commissariale, ndr), ci sono ‘problemi’ e la dogana dice che i documenti ‘non sono buoni’". Così l’ingegnere Dario Bianchi, fondatore e amministratore di Jc-Electronics Italia srl, l’azienda di Colleferro (Roma) che subì la cancellazione del contratto (revocato su "basi illegittime", secondo i giudici) per la fornitura di mascherine e per il quale il governo è stato condannato dal Tribunale di Roma a risarcire di oltre 203 milioni di euro la società, in audizione ieri in Commissione parlamentare di inchiesta alla Camera sulla gestione dell’emergenza sanitaria.
"Ovvio che non lo erano – ha proseguito Bianchi – erano certificate da un laboratorio Ecm di Reggio, che la stessa dogana afferma di essere non buono. Lo comunica anche il governo cinese al governo italiano, che gli dice ‘guardate, le mascherine che vi arrivano in italia con i certificati Ecm non le dovete accettare perché faranno danni’. Sono ‘farlocche’, come si dice. Ma Marcello Minenna, l’ex direttore generale delle dogane, cosa fa? Nomina Ecm come consulente della dogana...".
Anche a Reggio esplose un caso analogo nel 2020 con l’operazione ’The Mask’ condotta dalla procura su un maxiappalto dell’Ausl da 5,6 milioni ritenuto illecito per la fornitura di mascherine. Su sei indagati, sono stati rinviati a giudizio in tre per truffa e corruzione: Pietro Ragni, ex risk manager dell’Ausl, nonché vicepresidente dell’Ordine dei Medici e due imprenditori, il trentino Paolo Paris e Lorenzo Scarfone di Poviglio, quest’ultimo noto anni fa come coordinatore di Italia Madre, ex partito di Irene Pivetti (anch’egli finita nei guai in un altro processo sempre per presunte mascherine ritenute non idonee).