Matteo Messina Denaro, Paolo Bellini e le opere d’arte rubate: la trattativa segreta

Il filo rosso che lega il boss arrestato a Palermo al reggiano, ‘quinto uomo’ del processo sulla strage alla stazione di Bologna

Reggio Emilia, 16 gennaio 2023 – La sfinge del estremismo neofascista, con una biografia criminale così densa, violenta ed incredibile da sembrare uscita dalla penna di John Grisham. Il reggiano Paolo Bellini, che già prima di finire in carcere nel ’99 era una leggenda nera.

E Matteo Messina Denaro, il boss detto Diabolik e U’ Siccu, fiumi di sangue e di inchiostro versati per lui in 30 anni di quella latitanza terminata oggi a Palermo.

Paolo Bellini (foto Artioli, archivio)
Paolo Bellini (foto Artioli, archivio)

Un filo rosso unisce le loro azioni più scellerate: quelle che hanno visto Bellini al centro del crocevia di una delle presunte trattative Stato-mafia nel 1992-93, quando con la strategia stragista si puntava alla destabilizzazione della democrazia in Italia, piegando le Istituzioni alle richieste dei boss di Cosa nostra.

Bellini, 69 anni, un volto stanco ma impassibile, non più incorniciato dalla folta capigliatura nera con cui centinaia di volte è finito sulle pagine dei giornali da ultimo come ex pentito a cui lo Stato non ha rinnovato il programma di protezione, e come ‘quinto uomo’ nel processo sulla Strage alla stazione di Bologna.

Tanto capace di uccidere a sangue freddo (dopo 47 anni a Reggio Emilia si sente ancora l’eco del colpo in testa ad Alceste Campanile, di Lotta Continua) quanto di tessere raffinate trame diplomatiche e relazioni di alto profilo…

Paolo Bellini sarebbe arrivato vicino a Messina Denaro con già un curriculum criminale impressionante, strani rapporti con i servizi segreti e la patente di killer.

Secondo ricostruzioni investigative, il reggiano entra in relazione con la mafia nel carcere di Sciacca, dove viene detenuto con l’alias brasiliano di ‘Roberto Da Silva’ tra l’autunno 1981 e il gennaio ’82, quando viene scoperta la sua vera identità (forse già conosciuta da apparati dello Stato).

Qui conoscerebbe Antonino Gioè, boss di Altofonte, che poi ritrova nel carcere di Palermo. Dieci anni dopo, le stragi e contatti indicibili Stato-mafia: "C’è stato un secondo piano di trattativa, che è passato alla storia… come ‘Seconda trattativa’ o ‘trattativa delle opere d’arte’. E’ un canale di trattativa assolutamente sincronico, perfettamente coincidente con le tappe della trattativa principale”, ha affermato durante il processo di Palermo l’allora pm Roberto Tartaglia.

È il 1992 ed il maresciallo Roberto Tempesta del Nucleo tutela patrimonio artistico (vicino al generale Mori) entra in contatto con Bellini per cercare di recuperare opere d'arte rubate dalla Pinacoteca di Modena.

A sorpresa il reggiano si proporrebbe come tramite con lo Stato per far cessare le stragi. Arriverebbe l’assenso dall’alto e Bellini, tramite Gioè, inizia a ‘dialogare’ con Matteo Messina Denaro e suo padre, don Francesco (che tra l’altro trafficavano in opere d’arte rubate).

La proposta oscena è la consegna di capolavori artistici in possesso di Cosa nostra in cambio un trattamento di favore per alcuni vecchi boss in carcere.

La trattativa si sarebbe arenata solo a seguito del rallentamento di quella principale.

I misteri, le inconfessabili compromissioni e i nodi sono ancora tanti, l’arresto odierno di Matteo Messina Denaro non aiuterà a fare chiarezza ma solo giustizia alle vittime.