Rimini, 18 luglio 2013 - La cappellina di Sant'Antonio casca a pezzi. Il tempietto bramantesco di piazza Tre Martiri, gioiello del Cinquecento cui i riminesi sono particolarmente affezionati. Sono tre i religiosi rimasti in servizio nella seicentesca chiesa dei Paolotti, retrostante al tempio, quella 'delle confessioni' (non è parrocchia ma santuario della Diocesi): il superiore Francesco Tiberi, padre Innocenzo Ponzo, superiore negli anni Sessanta, e padre Victorino Casas, spagnolo. E' Innocenzo a mostrarci le ingiurie del tempo sul monumento ottogonale: «Quasi tutti gli otto lati esterni - spiega - , cinque dei quali in pregiata pietra d'Istria come il Duomo, gli altri tre sul retro in areniaria di San Marino, stanno letteralmente perdendo pezzi quasi ogni giorno. E poi cornici sgretolate o crollate, buchi, crepe...».

Stendiamo un velo sugli escrementi dei piccioni che 'decorano' la struttura. «Questi vengono lavati quasi tutti i giorni dagli operai incaricati dal Comune, che è proprietario del tempietto - prosegue don Innocenzo - ma a volte i getti d'acqua scalfiscono la pietra, già instabile, e fanno saltare ulteriori pezzi. Un vero peccato, si tratta di un autentico gioiello per Rimini». «Poi ci sono infiltrazioni che scendono dalla copertura in rame, credo che da 50 anni nessuno ci abbia mai messo mano».

Il tempio dedicato a Sant'Antonio - che prima di spostarsi a Padova visse tre anni a Rimini, realizzando due miracoli raffigurati in affresco nella chiesa - fu in parte distrutto dal terremoto del 1672, ricostruito nel 1683. Ospita anche la base della colonna dalla quale il santo convinse l'eretico Bonvillo «che rifulse le divine grazie», con il miracolo della mula. All'interno pericolosi fili elettrici scoperti, un fatiscente inginocchiatoio in legno, una statua seicentesca... da restaurare, pareti sgretolate.

I padri sarebbero disposti a prendere in comodato dal Comune il tempio, «ma prima va sistemato». Presentati due progetti di restauro. Bocciato il primo, «troppo costoso», rifatto più economico (meno di 100mila euro). Per ora anche quello rimane senza seguito.

Mario Gradara