Delitto del freezer, i giudici: "Ferocia brutale"

Le motivazioni della condanna in appello a 30 anni per Giulio Caria Nella sentenza stralci del blog della vittima Silvia Caramazza

Giulio Caria in tribunale in occasione di un’udienza (foto Schicchi)

Giulio Caria in tribunale in occasione di un’udienza (foto Schicchi)

Bologna, 9 giugno 2016 – «C’è una linea sottile tra il sospetto e la violenza». Lo scriveva sul suo blog Silvia Caramazza, il 3 giugno 2013, pochi giorni prima di morire, ammazzata dall’uomo che diceva di amarla. E ora quelle confessioni dal cuore, su latteversato.iobloggo.com, rimarranno agli atti. La Corte d’Assise d’appello presieduta da Pierleone Fochessati le ha inserite nelle 43 pagine di motivazioni che, il 30 marzo, hanno portato alla conferma dei 30 anni per omicidio a carico di Giulio Caria, compagno di Silvia. Non ci sono dubbi: Silvia viveva il rapporto con il muratore sardo «con costante paura, timori, senso di oppressione, congestione del proprio agire», dice la corte che in più punti si rifà alle motivazioni di primo grado. Silvia era dunque vittima di stalking, come lei stesso rivela sul suo blog. «Dire a una persona ‘ti controllo il telefono e le mail tramite un investigatore’ è una pressione che, a lungo andare, logora, sfibra chiunque», scriveva nell’ultimo post prima di morire. L’attività persecutoria del compagno non solo ha «alterato le abitudini» di Silvia, puntualizzano i giudici, ma ha «letteralmente stravolto la sua vita, destabilizzandone la serenità e l’equilibrio psicologico, già precari». La ragazza, infatti, dalla morte del padre era in cura per una grave depressione e «Caria ben sapeva – continuano – che nella vita di Silvia, una volta guarita, non ci sarebbe più stato spazio per lui».

Da qui i tentativi, vari, di piegare psicologicamente la fidanzata al suo volere, cercando anche di avere un bambino. Tuttavia lui «non lo faceva per amore, lo faceva per incastrare definitivamente Silvia». Per «sfruttarla, ingannarla e derubarla meglio, tenendola lontana da occhi indiscreti». E per farlo il muratore non aveva esitato a disseminare l’abitazione della donna di telecamere e ad allontanarla dagli amici. L’eventualità che Silvia potesse lasciarlo «non era prevista, né tollerabile» per Caria che, la sera tra l’8 e il 9 giugno 2013, «ha scatenato tutta la sua ferocia brutale su di lei colpendola sette volte al capo». Un gesto ripetuto, per di più, contro «una persona che non dava più segni di vita». E tutta quella brutalità non gli ha impedito, «mentre la Caramazza era ancora in vita», di romperle un dito per sfilarle pure un anello. Il difensore di Caria, Savino Lupo, ha già annunciato ricorso in Cassazione contro le aggravanti di stalking e crudeltà, mentre per l’avvocato Fabio Pancaldi che assiste alcuni familiari della vittima le parole di Silvia citate in sentenza «sono il migliore epitaffio per la vittima e allo stesso modo risuonano come la condanna più severa per l’imputato».

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