Il Giro d'Italia rende omaggio al suo cantore Guglielmo Fanticini

Giovedì l’arrivo davanti alla casa del giornalista scomparso 35 anni fa. Uomo dal cuore grande, morì all’improvviso il 18 maggio 1982 al termine di una tappa

Sul sedile posteriore della macchina della Gazzetta dello Sport  Guglielmo Fanticini dialoga con Beppe Saronni

Sul sedile posteriore della macchina della Gazzetta dello Sport Guglielmo Fanticini dialoga con Beppe Saronni

Reggio Emilia, 13 maggio 2017 – Le braccia al cielo di chi vincerà sul traguardo di viale Isonzo saranno il miglior modo per ricordarlo. Proprio di fianco a casa sua, dove la luce dell’ufficio restava accesa fino a tardi per scrivere articoli.

Giovedì sarà il 35esimo anniversario della morte dell’indimenticato giornalista sportivo reggiano Guglielmo Fanticini. E la partenza di tappa nel giorno successivo cade proprio in quello che sarebbe stato il suo compleanno. Sembra fatto tutto apposta.

Guglielmone o Memi – così lo chiamavano gli amici – aveva il cuore rosa. Il “suo” Giro d’Italia. Quello in cui terminò anche la sua corsa – come un “antico cavaliere cade sul campo”, la metafora con cui dipinsero la notizia i quotidiani dell’epoca - all’età di 62 anni. Era il 18 maggio del 1982.

E’ appena terminata la tappa Roma-Caserta quando nella meravigliosa Reggia borbonica dov’era allestito il quartier generale con la sala stampa, Fanticini accusa un malore. Morì poco dopo in ospedale. «Il giorno dopo ci fu una funzione in suo ricordo nel Duomo di Caserta – rammenta il figlio Ezio, a lungo colonna e caposervizio sportivo del Carlino Reggio –. Noi della famiglia siamo usciti fra due ali di folla. Un calore e un’accoglienza straordinaria».

Un affetto vero. Perché Guglielmo aveva un cuore grande. Generoso con tutti. E tutta Italia e il mondo del ciclismo lo conoscevano e gli volevano bene. Ha seguito 35 Giri d’Italia dietro le quinte della macchina organizzativa, stringendo un fortissimo legame con Vincenzo Torriani, patron e papà della corsa.

G come Giro, come Guglielmo e come Giannetto. La kermesse rosa a Reggio si può associare a loro. Fanticini e il massaggiatore dei campioni Cimurri, legati da un’amicizia fraterna. Guglielmo aveva iniziato piazzandosi dietro le moto, mostrando ai corridori le lavagnette coi distacchi. Poi ha ricoperto i ruoli di capo ufficio stampa del Giro, tesoriere, ma soprattutto ha dato la voce a Radio Corsa, collegata con tutte le carovane.

Ha raccontato da vicino le gesta di Moser, Saronni, Hinault, Coppi e Bartali. Un romanticismo d’epoca da commuoversi. «Nei tempi morti, che durante una tappa sono tanti – ricorda il figlio Ezio –, farciva la cronaca di aneddoti sui paesi attraversati, dall’aspetto geografico a quello locale. Aveva una cultura esagerata».

Quella stessa Radio Corsa che nel giorno della tragedia fu una sorta di cattivo presagio: ci fu un blackout ripetuto durante la tappa. Laureato in legge, voleva fare il notaio o il giornalista. Ma c’era l’azienda di famiglia, la “Fanticini Spa”, che produceva formaggi, da portare avanti.

Riesce comunque a diventare pubblicista e dai 20 ai 62 anni impugna carta e penna. Storico corrispondente da Reggio per la Gazzetta dello Sport dal primo dopoguerra e collaboratore di tantissimi quotidiani: Gazzetta, Carlino, ma anche tanti altri giornali di tutt’Italia.

«Dava dignità a tutto – ricorda Ezio –. A qualsiasi articolo scrivesse, a qualsiasi sport. Ha dato spazio soprattutto agli sport meno seguiti come pallamano, boxe, hockey su prato. E per questo è stato bellissimo che Reggio gli abbia intitolato il Palahockey, come fosse il simbolo degli sport minori».

Ma il ciclismo era la sua vita. «Le sue vacanze estive erano le corse organizzate dalla Gazzetta dello Sport – conclude Ezio –. Io, mia mamma Nerina e mio fratello Vincenzo andavamo al mare o in montagna, lui al Giro…».

E giovedì, ancora una volta Guglielmo potrà raccontare la corsa. Vicino a casa sua. Dall’alto, da posizione privilegiata potrà guardare la volata.