LETIZIA GAMBERINI
Cronaca

Balzano: "Sono tornato sul confine"

Lo scrittore presenta oggi in Salaborsa il romanzo ’Bambino’: "Ho indagato il male per capirlo meglio"

Lo scrittore milanese Marco Balzano, oggi alle 18 in Salaborsa con Pier Luigi Bersani

Lo scrittore milanese Marco Balzano, oggi alle 18 in Salaborsa con Pier Luigi Bersani

Ci sono pagine di storia che sono come schiaffi, ma che ancora raccontano tanto del nostro tempo. Non ha paura di affrontare un oscuro capitolo del "fascismo di confine" Marco Balzano, che dopo l’intenso Resto qui ambientato nel travagliato Alto Adige, esplora ora la frontiera orientale. Se nel romanzo precedente ha dato voce a una donna ’resistente’, una vittima, in Bambino (Einaudi) che presenta oggi alle 18 in Salaborsa, lo scrittore milanese dà voce e corpo a un uomo dal passato feroce, una camicia nera. Una vita che tanto contrasta con quel volto senza barba di bambino, forse mai del tutto cresciuto e alla ricerca di una madre naturale mai conosciuta. L’autore dialogherà con Pier Luigi Bersani.

Balzano, un nuovo capitolo della grande Storia.

"Volevo chiudere un discorso iniziato con Resto qui sul confine orientale, dove si è svolta una delle pagine peggio raccontate e più silenziate in Italia. Purtroppo spesso la politica si impossessa di determinati argomenti prima che possiamo studiarli, fa un uso pubblico della storia nocivo alla comprensione. Valeva per il confine altoatesino e ancora di più vale per Trieste e la Venezia Giulia, dove si sono succedute tre dittature".

Ci spieghi.

"Prima il fascismo di confine, razzista ed efferato, che punta a prendersela con chi parla un’altra lingua: Trieste era la città con più camicie nere in Italia. Poi diventa territorio del Reich, con pure un campo di sterminio, prima dei 40 giorni di durissima occupazione titina".

Perché raccontare un personaggio così negativo?

"Finora ho raccontato le vittime, con cui è più facile empatizzare perché subiscono. Provare a indagare chi il male lo ha fatto, chi è entrato nella spirale dell’errore, vuol dire cercare di capire più da vicino cosa è stata questo tipo di violenza. La violenza nel libro però non è mai ostentata, ma solo accennata".

Un notevole cambio di prospettiva.

"Siamo abituati a parlare del male in modo generico: quello in ognuno di noi, quello della storia... ricordare che c’è chi il male lo ha fatto può fare bene. Mi interessava vedere quale umanità sopravvive, quali fragilità continuano a esistere. Noi processiamo moltissimo, con i social anche di più. La letteratura, che ha un passo più lento, può non giudicare, ma aiutare a guardare più da vicino. Se no l’empatia la riduciamo solo alla compassione per chi ha avuto i nostri stessi problemi. Io ho insegnato in carcere: è possibile considerare con umanità anche chi ha fatto del male? La letteratura rende più complessa la natura delle cose. Le figure femminili, in questa storia, portano il mio Mattia Gregori a pensare che poteva vivere in un altro modo ed essere una persona migliore".

Sicuramente una sfida anche per lei come scrittore.

"Sì, e ha ripercussioni sullo stile e la struttura del romanzo, che ha un ritmo serrato. É stato un modo anche per esorcizzare il male, vedere che non è qualcosa di avulso da noi. Mattia non si avvicina ai fascisti per convincimento ideologico, ma perché vuole qualcuno che lo aiuti a trovare sua madre. Quante volte nei momenti di debolezza rischiamo di assecondare scelte sbagliate".

È una storia solo di ieri o anche di oggi?

"Allo scrittore interessano più le metafore dei fatti che i fatti. I primi a comprare Resto qui sono stati Paesi di confine e travagliati dalle guerre come Russia e Israele. I confini sono luoghi di incontro e incroci in tempi di pace e sanguinosi in tempi di guerra. Quelli dietro questa storia sono quelli di oggi: diventano luoghi di violenza ogni volta che una dittatura si impone".