CLAUDIO CUMANI
Cronaca

L’Edipo di Serra: "Ha il coraggio di conoscere"

Stasera all’Arena la prima nazionale di ’Tragùdia’ "La tragedia classica portata all’essenziale".

Un’immagine di ’Tragùdia’ di Alessandro Serra, da stasera a domenica

Un’immagine di ’Tragùdia’ di Alessandro Serra, da stasera a domenica

Si intitola Tragùdia il nuovo allestimento di Alessandro Serra in prima nazionale da oggi al 20 ottobre all’Arena del Sole perché l’intero spettacolo è recitato in grecanico, ovvero nell’idioma arcaico tutt’ora parlato tra Calabria e Puglia (sono previsti i sottotitoli in italiano). Il regista di culto del teatro italiano, dopo i successi di Macbettu e de La tempesta, ha deciso di andare alle radici del mito e di affrontare l’opera di Sofocle. Il canto di Edipo si intitola lo spettacolo per sette attori, coprodotto da Ert e destinato a una lunga tournée.

Serra, come si può rileggere la tragedia classica per un pubblico contemporaneo?

"Basta leggerla e non rileggerla, cioè non voler esprime un punto di vista. E poi tralasciare tutto ciò che ha a che fare con il pubblico per cui la tragedia fu scritta. Cioè omettere il sapere collettivo condiviso da quegli spettatori, del tutto incomprensibile oggi. Tralasciare il transitorio (potremmo definirlo il contemporaneo di allora) e sprofondare nell’essenziale. Quell’essenziale riguarda la nostra natura profonda, oltre che la superficialità dei nostri comportamenti sociali".

Chi è Edipo, oltre il mito?

"Edipo è colui che ha il coraggio di conoscere. Certo, il concetto è un po’ difficile da far passare in una società fondata sul peccato originale dell’aver mangiato dall’albero della conoscenza ma l’atto eroico più potente che si possa compiere in vita è proprio conoscere se stessi. Edipo nasce scontando la colpa di un padre che aveva abusato di un bambino e perciò aveva subito la maledizione di essere ucciso da suo figlio. Purtroppo questo figlio, come molti di noi, è nato non voluto. Al terzo giorno di vita sua madre ordina di trafiggergli le caviglie e di abbandonarlo in montagna. Il resto della storia è noto. Edipo è l’eroe che più di chiunque altro ci mostra il cammino dal buio dell’infanzia alla luce del bosco sacro alle Eumenidi. Attraversa l’infanzia e cavandosi gli occhi acquisisce la vista interiore dei poeti e dei veggenti".

Come ha recuperato il grecanico? Perché ha la necessità di usare lingue arcaiche?

"Le lingue arcaiche sono lingue nate dal corpo. Mantengono una musicalità che evoca una danza. Lo stesso vale per alcuni dialetti, penso al napoletano, quasi impossibile da parlare senza gesticolare. E alla cheironomia, la danza delle mani che i greci praticavano anche in scena. In Macbettu c’è qualcos’altro oltre alla lingua: ci sono gli archetipi e le energie ancestrali della Sardegna".

È d’accordo con chi definisce il suo teatro visionario?

"Credo sia più un tentativo per incasellarmi da qualche parte, definendo un teatro che non trascura l’aspetto visivo. Del resto il teatro è etimologicamente il luogo da cui si vede. Ma l’immagine non è ciò che si vede, bensì un dispositivo atto ad attivare una visione interiore. Nelle mie scene utilizzo pochi oggetti vetusti e scene semplici fatte di legno, ferro. La composizione della scena ha lo scopo di consentire allo spettatore di proiettarvi sopra la propria reazione immaginifica alla materia scaturita dal testo. Se lo spettatore guarda ma non immagina, non succede niente, solo belle cartoline. A teatro ci si va per immaginare e per avere visioni. Attori e spettatori si devono allucinare".