Gruppo Maccaferri, indagati i quattro fratelli

Per i pm è bancarotta fraudolenta: otto sotto accusa, fra cui Gaetano, Alessandro, Antonio e Massimo. Sequestrato l’intero capitale di Sei spa

Le indagini sono del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza

Le indagini sono del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza

Bologna, 23 luglio 2020 - Avrebbero svuotato le aziende del Gruppo dei beni immobili, convogliando tutto prima sulla holding e poi distraendo i beni verso un’azienda terza, così che fossero inattaccabili dai creditori in caso di fallimento. È questa l’accusa mossa dalla Procura ai vertici del Gruppo Maccaferri, a seguito di una complessa indagine condotta dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza che ha portato, ieri, al sequestro preventivo, disposto dal gip Alberto Ziroldi, di quasi 58 milioni di euro, ossia l’intero capitale sociale di Sei Spa, la società in cui sono confluiti i beni immobili.

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Sono otto gli indagati, che devono rispondere di bancarotta fraudolenta per distrazione: Gaetano Maccaferri, il presidente del Cda della Seci, holding del gruppo Maccaferri, e poi Alessandro Maccaferri, vice presidente, Antonio Maccaferri, consigliere del Cda, Piero Tamburini, consigliere delegato, e infine i soci Massimo Maccaferri, Angela Boni, Gugliemo Bozzi Boni e Raffaella Boni. Tutti soci, anche, della società ‘spin-off’ Sei. Il gruppo Maccaferri, leader, con le Officine Maccaferri di Zola, nel settore dell’ingegneria ambientale, e con la Samp in quello della meccanica, ha società operanti anche nell’alimentare, nell’energia, nell’edilizia e nell’immobiliaristica. L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Caleca e dal pm Nicola Scalabrini, ha preso le mosse dalle tensioni societarie che, a maggio dello scorso anno, hanno portato il Gruppo Maccaferri a presentare un’istanza di concordato ‘in bianco’ in tribunale: un’istanza ancora in fase di valutazione, con le società affidate a commissari giudiziali. Ma un colosso come Maccaferri in che modo sarebbe arrivato a questo punto? Stando agli accertamenti delle Fiamme gialle, bisogna tornare indietro fino al 2014, quando il gruppo, a causa della forte crisi dei settori saccarifero ed energetico, contabilizza una perdita di 10 milioni. Così, a metà luglio di quell’anno, attraverso la controllata Officine Maccaferri, ricorre a un prestito obbligazionario da 200 milioni di euro. Un bond classificato dalle agenzie di rating come ‘ad alto rischio’. Buona parte della cifra (143,7 milioni) viene utilizzata per rimborsare i debiti delle Officine, gli altri soldi vengono convogliati sulla controllante Seci e per l’acquisto dell’immobile di Zola sede delle Officine. Attraverso altre operazioni finanziarie interne, quell’anno i bilanci vengono chiusi in positivo. Anche l’esercizio 2015 e quello 2016 si concludono con un segno più: tuttavia, stando agli accertamenti dei finanzieri, il risultato è frutto di cessioni delle proprie società ad altre multinazionali. L’aria cambia nel 2017, anno su cui si concentra l’indagine delle Fiamme gialle, perché qui si sarebbero concretizzate le operazioni che hanno portato alla (presunta) distrazione dei quasi 60 milioni, attraverso una scissione di ramo d’azienda immobiliare, realizzata da Seci in favore della neo costituita Sei, controllata dagli indagati. Qui sarebbero confluiti l’immobile di Zola delle Officine Maccaferri e gli immobili (per 66 milioni) della Sieci, dopo averne acquistato le quote, e di altri immobili a Borgo Panigale e Bentivoglio, della Fortune 5 e della Samp Spa. Un ‘rastrellamento’ che, per l’accusa, sarebbe in ultima istanza servito a salvaguardare i beni da eventuali aggressioni patrimoniali.

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