Andrea Mingardi riceve questa sera al Teatro Carani di Sassuolo il premio Pierangelo Bertoli-A muso duro. Gli verrà consegnato dal figlio Alberto Bertoli, che col cantautore bolognese è tra gli autori di Uonted- I magnifici sette meno due, la trasmissione su Trc che riprenderà mercoledì 20 novembre.
Andrea Mingardi, quanta emozione dietro questo premio?
"Ho un rapporto splendido con Alberto e avevo una bella amicizia con Pierangelo. Abbiamo fatto tanti spettacoli insieme, ci stimavamo, questo non è un premio dato tanto per fare. L’ultimo concerto che ha visto Pierangelo sulla terra è stato il mio, pochi mesi prima che se ne andasse".
’A Muso duro’ del 1986 è un testo ancora tanto contemporaneo. Che ne pensa?
"È proprio per questo che Pierangelo è ancora amato e ricantato, perché ha scritto cose bellissime. Prendiamo Eppure il vento soffia ancora, è un capolavoro assoluto. Quando Bob Dylan viene citato con Blowing in the wind viene descritto come un autore miracoloso, ma per me Eppure il vento è ancora più bello, bello come tante altre sue canzoni. Lui aveva quel coraggio che non era facile riscontrare in un uomo nato con una difficoltà del genere a Sassuolo".
Da dove veniva questa forza?
"Aveva un grande carattere ma anche delle idee forti e precise che rilette e rimesse in campo oggi ci fanno pensare che abbiamo perso qualcosa. Abbiamo perso la voglia di essere rivoluzionari, la voglia di lottare per qualche cosa, di non mollare mai e anche di prendere posizioni critiche forti nei confronti dell’establishment che piace a pochissimi".
Lei è premiato per le sue scelte artistiche fuori dalle tendenze, che hanno anticipato molti generi. Si è sentito spesso di prendere la vita "a muso duro"?
"Che non avessi l’orologio a posto me l’hanno sempre detto. In Italia abbiamo fatto il rock’n’roll quando gli altri erano già passati alle canzoni degli anni ’70". Abbiamo fatto il punk, addirittura sfottendolo, in un momento in cui tutti credevano che mettersi degli anelli al naso fosse sufficiente per fare musica. Ho anticipato il rap di 20 anni".
Come faceva a sapere dove soffiava il vento per lei, senza badare agli altri?
"Non lo sapevo, ma anticipando i tempi ho avuto meno di quello che avrei meritato, almeno così hanno sempre detto i critici e i colleghi, e forse ci credo. Ma forse perché il rock’n’roll negli anni Cinquanta è stata la chiave di tutto: ma intendo quello duro, quello che proveniva dal blues, dalla protesta, dai musicisti neri e io mi sono subito schierato dalla loro parte, senza sapere perché. Mi sono ritrovato addosso quel sentimento".
Benedetta Cucci