
Giuseppe Sassatelli, professore emerito in Archeologia italica ed Etruscologia. dell’Alma Mater
Sarà per il mistero che questo popolo si porta appresso, sarà per l’assenza di testimonianze storiche scritte, sarà per le suggestioni sacrali e magiche ancorate all’immaginario della letteratura e della fiction: la civiltà etrusca continua ad affascinare e intrigare ancora una larga fetta di non addetti ai lavori. "Perché – spiega Giuseppe Sassatelli, professore emerito in Etruscologia e Archeologia italica dell’università di Bologna – quello fu un popolo capace di fare da tramite fra il Mediterraneo e l’Europa. Non dobbiamo dimenticare che gli Etruschi hanno imparato dai Greci la scrittura, diffondendola poi ad altre popolazioni e che gli stessi Romani accoglieranno, rielaborandole, molte caratteristiche di quella civiltà".
Attenzione, però: la presenza degli Etruschi non va confinata nell’Etruria di Tarquinia o Cerveteri ma rappresenta anche, fra il decimo e il quarto secolo avanti Cristo, il grande volano di sviluppo della pianura padana posta sotto il Po. E ovviamente del futuro capoluogo emiliano. La recente pubblicazione di due importanti volumi sull’argomento, come Bologna etrusca. La città invisibile del professore e gli atti del convegno universitario di due anni fa Gli Etruschi nella valle del Po, è al centro dell’incontro di oggi alle 17,30 allo Stabat Mater dell’Archiginnasio intitolato appunto Gli Etruschi a Bologna e nella valle del Po. Partecipano, oltre a Sassatelli, l’assessore regionale alla cultura Mauro Felicori e l’ex direttore del museo Archeologico di Napoli Paolo Giulierini, autore tra l’altro di un recente volume sull’Italia prima di Roma.
Professor Sassatelli, dove si possono trovare tracce di questa civiltà nella pianura padana?
"Da un punto di vista monumentale la città etrusca per eccellenza è Marzabotto dove sono rimaste in piedi officine, templi e case. La ragione è che quel territorio non è mai stato abitato contrariamente a quello che è successo a Bologna con l’arrivo dei Galli prima e dei Romani dopo. Qui piazze, strade e abitazioni si sono andate via via stratificando. In regione si può rinvenire qualche altra testimonianza a Spina. Nel capoluogo l’unico segno resta la tomba dei Giardini Margherita".
Definisce la Bologna etrusca una città invisibile. Perché? "L’abitato partiva dalla zona delle Due Torri, dove passa l’Aposa, e arrivava all’area dell’attuale zona della chiesa di San Paolo in via Andrea Costa dove scorre il Ravone. Parliamo di un‘area di duecento ettari compresa fra via Riva Reno e porta Saragozza. Tutto questo però non è visibile. Il mondo etrusco riaffiora solo dalla profondità della terra in occasione di qualche scavo come è successo di recente in via Belle Arti".
Che società era quella etrusca?
"Avanzatissima e capace di grande organizzazione sia in campo agricolo che commerciale. È un popolo che ha voluto coltivare in modo intensivo grano e creali e che ha saputo utilizzare gli itinerari fluviali per trasportare merci e diffondere prodotti artigianali. Delle relazioni culturali sappiano poco perché non esistono documenti scritti e i monumenti sono stati segnati dal tempo. È significativo però che i Galli non abbiano voluto distruggere ma sostituirsi alla popolazione esistente".