"Quando parlava Sven, per noi attaccanti era come ascoltare il vangelo. Tante cose che ho imparato sul mio modo di giocare le devo a lui".
Massimo Agostini, il ‘Condor’, bandiera bianconera con alle spalle anche un importante passato in serie A e ora consigliere nell’organigramma del Cesena a trazione statunitense, ricorda col sorriso, ma soprattutto con rispetto, Sven Goran Eriksson, il tecnico svedese scomparso ieri a 76 anni a causa di una lunga malattia.
Agostini, vi incontraste nel 1986, con la maglia della Roma.
"Eriksson mi aveva visto giocare a Cesena, mi seguiva e apprezzava il mio gioco. Fu lui a chiedere ai giallorossi di mettermi sotto contratto. Arrivavo nella capitale da una squadra di provincia, poteva non essere semplice, invece lui credette subito in me".
Come si consolidò il vostro rapporto?
"Sul campo. Ci diceva che il nostro habitat era l’area di rigore e che lì dentro dovevamo muoverci come leoni, con lo scopo di finalizzare le giocate che aveva costruito la squadra. Serviva il guizzo per prendere in controtempo i difensori, serviva capitalizzare al meglio ogni occasione, imparando a ‘leggere’ la gara sempre nel modo giusto. Quando ti allenava lui, moltiplicava la voglia di lavorare duro. Eri sempre motivatissimo".
Per i giallorossi fu una stagione altalenante.
"Eravamo riusciti a risalire fino al secondo posto. Furono decisivi gli infortuni. Ne fui vittima anch’io, a una caviglia. Avevo giocato tutte le prime 22 partite, le prime quattro subentrando a gara in corso, le successive 18 da titolare. Le ultime 8 invece le passai in infermeria".
Poi Eriksson andò alla Fiorentina.
"Mi cercò anche coi ‘Viola’, mi voleva in squadra. Non se ne fece niente. Restai un altro anno a Roma".
Poi tornò a Cesena, dove lo sfidò da avversario il 23 ottobre 1988. Finì 0-3 per i toscani. "Ci siamo incontrati anche in diverse altre occasioni, sia quando lui era a Firenze, che con la Lazio. I ricordi sono tanti, la stima ancora di più".
L’intero mondo del calcio gli ha reso omaggio.
"Se penso a lui, mi viene in mente una parola in particolare e questa è ’forza’. Quella che ha sempre avuto e che ha dimostrato fino all’ultimo, viaggiando per mezza Europa sempre col sorriso nonostante la durissima battaglia che stava combattendo. Non si è buttato su un letto, ha risposto a tutti gli inviti dei tantissimi club che volevano salutarlo per un’ultima volta. Un saluto all’allenatore, all’ottimo tecnico che portato vittorie e trofei. Un saluto riconoscente all’eleganza di quello che è stato un grande uomo".
Luca Ravaglia