Quando Papa Braschi finì dietro un muro

di Gabriele Papi ‘Ci vediamo dal papa ’: un modo di dire tipico dei cesenati. Per darsi appuntamento in centro, davanti al Palazzo del Ridotto. Sotto la grande e antica statua bronzea di Pio VI, Papa Braschi (1717- 1799: uno dei pontefici cesenati d.o.c , il secondo è Papa Chiaramonti, Pio VII, gli altri papi cesenati sono ‘oriundi’). Si tratta di uno di quei monumenti storici entrati a far parte, nel tempo, della geografia quotidiana degli incontri e del lessico familiare della città. E’ conosciuta, ma non scontata, la storia di questo monumento che continua a benedire i passanti spesso distratti. La prima copia della statua, in gesso bronzato, opera dello scultore cesenate Francesco Callegari, fu posta sulla loggetta del palazzo, nel 1782, in occasione del ritorno in visita di Papa Braschi nella sua città natale. Dieci anni dopo quel modello fu fuso in bronzo dal maestro fonditore Carlo Ruffini. Dovette essere davvero un’impresa quella complessa fusione nella fonderia allestita dentro un cortile della vicina chiesa di San Zenone: la sola colata del bronzo, lega di rame e stagno, punto di fusione 960 gradi°, è fantasmagoria che resiste nei secoli. Fin qui la statua. Quanto a Papa Braschi fu pontefice sfortunato, in termini storici. Basti dire che ebbe la sventura di vivere durante la bufera napoleonica (morì in esilio). Pio VI fu figlio dei suoi tempi, non ebbe larghe vedute: o, se le ebbe, se le tenne molto strette, in termini di prodigalità verso i suoi ‘famigli’. Tuttavia, anche in questo caso, serve una visione laica a tutto tondo: il ‘familismo amorale’ è, purtroppo, costante italica ancora presente su vari versanti. ‘L’Italia è un Paese di santi, poeti, navigatori, nipoti, cognati…’, come scrisse Ennio Flaiano con magistrale ironia. Tornando alla nostra Cesena quella statua, nei primi dell’Ottocento, veniva popolarmente definita: ‘e papòn’. Non solo nel senso di grande papa: ‘ e papòn’ era un brigante famoso di allora. La Romagna, ancor prima del Passatore, era rinomata per i suoi briganti, ‘desperados’ in terra di Sangiovese. Durante l’interregno romagnolo della Repubblica Cisalpina in Romagna, la statua pontificia - essendo vietati i simboli religiosi dalla prima affermazione della laicità dello Stato- fu persino murata nel suo terrazzino sul palazzo, tranne una parte di braccio che fuoriusciva. Mura a loro volta tolte dalla successiva, temporanea, restaurazione pontificia. E da allora quella statua della Cesena papalina è ancora lì, com’è giusto che sia, segno e monito storico per chi non è smemorato. Soltanto una volta discese dal suo alto scranno: ma soltanto in un delizioso e irriverente racconto apparso su ‘Il Cittadino’, giornale cesenate, nel gennaio 1893. E dunque: in una gelida notte d’inverno, mentre Cesena dorme, le statue di Pio VI e del dottor Maurizio Bufalini (di fronte al già liceo classico) scendono dai loro scranni e passeggiano su e giù per la città tra reciproci, ironici, amabili sfottò. Con il dottor Bufalini che raccomanda, mentre percorrono il corso ghiacciato: ‘Vada piano, Santità. Queste strade son comode per pattinare. Se per disgrazia cadesse…’. C’era una volta l’ironia, che per fortuna resiste ancora, antidoto al rancore: la parola rancore deriva dal latino ‘rancidus’ che vuol dire rancido, guasto.

Quando Papa Braschi finì dietro un muro

Le vicissitudini della statua al palazzzo del Ridotto: durante la Repubblica Cisalpina fu murata nel terrazzo, fuoriusciva solo un braccio