
Un bebè in Neonatologia (foto d’archivio)
Macerata, 9 luglio 2025 – Nei primi quattro mesi di quest’anno – certifica l’Istat – in ben tredici comuni della provincia di Macerata non ci sono state nascite: Bolognola, Fiastra, Gagliole, Gualdo, Monte Cavallo, Monte San Martino, Muccia, Penna San Giovanni, Petriolo, Pioraco, Sant’Angelo in Pontano, Sefro, Ussita; in altri sei c’è stata una sola nascita (Camporotondo di Fiastrone, Cessapalombo, Fiuminata, Poggio San Vicino, Serravalle, Visso).
Diciannove comuni in tutto: se a questi si aggiungono quelli con due, tre o quattro nati, si arriva alla metà del totale dei centri in cui la denatalità rischia di spegnere ogni speranza di rianscita. I dati Cedap (Certificati di assistenza al parto), un sistema di rilevazione del ministero della Salute effettuato di concerto con Istat e Regione, ci portano un po’ più avanti e dicono che da inizio 2025 e fino al 4 luglio, due giorni fa, in provincia di Macerata i nuovi venuti al mondo nei due punti nascita di Macerata e Civitanova sono stati complessivamente 761: a fine anno, se permarrà questa tendenza, arriveremo a poco più di 1.500, un centinaio in meno rispetto ai 1.629 dello scorso anno, 750 in meno rispetto al 2016 e 1.500 in meno rispetto ai 3.040 nati nel 2008. Un quadro drammatico che riguarda tutti i punti nascita distribuiti sul territorio regionale: si è passati dai quasi 11mila nati del 2016 ai 7.234 di fine 2024 (3.700 in meno), con un ulteriore calo previsto per fine anno. Un processo che mette a rischio la stessa rete dei punti nascita alcuni dei quali, secondo il Decreto ministeriale 70 del 2015, sono a rischio, visto che questo stabilisce che quelli con meno di 500 parti all’anno potrebbero non garantire standard adeguati e dovrebbero essere chiusi. Per ora né Macerata, che è il secondo punto nascita della regione, né Civitanova, rientrano tra questi, ma la denatalità lungi dal rallentare sembra accelerare, aprendo scenari inediti.
Sui perché non si fanno figli i fattori sono davvero tanti, e più volte evidenziati, ma anche presi nel loro insieme (rete di servizi non sempre adeguata, età media sempre più alta in cui una donna mette al mondo il primo figlio, condizioni economiche, ecc.) non sembrano spiegare del tutto questo progressivo impoverimento demografico. C’è qualcosa di più profondo, visto che anche gli immigrati, che fino a qualche anno fa compensavano la minor prolificità delle coppie italiane, fanno sempre meno figli. La giusta attenzione posta nei confronti dei bisogni di una quota crescente di anziani, che impone un aumento quantitativo e qualitativo dei servizi necessari, non può lasciare sullo sfondo il fatto che ci sono sempre meno nati, dunque meno bambini, dunque meno giovani: nel nostro territorio gli over 65 sono ormai il 26,2% della popolazione, mentre i residenti tra 0 e 14 anni non raggiungono il 12% del totale. Chi riempirà le scuole se non ci sono nati? Chi lavorerà nelle imprese se i giovani sono in calo costante? Con quali risorse sarà sostenuto il sistema del welfare? Il fenomeno è più accentuato nell’entroterra che, senza nuovi figli, rischia davvero grosso, proprio nel momento in cui va avanti il processo di ricostruzione post sisma.