
Gennaio 1957, in fabbrica: Adolfo Orsi alla guida di una vetturetta elettrica Maserati costruita in 15 esemplari e venduta ai clienti per i loro figli
Modena, 21 maggio 2025 – Nutrito a pane e motori, a dieci anni la mattina andava a scuola, nel pomeriggio inforcava la bicicletta e dal ponte della Pradella dove abitava con la famiglia raggiungeva la fabbrica del Tridente in via Ciro Menotti 322, distante poche centinaia di metri. Tira quasi un sospiro di sollievo Adolfo Orsi, 74 anni, figlio di Omar, amministratore delegato della Maserati tra gli anni ‘50 e ‘60, nipote di nonno Adolfo, colui che nel 1937 acquistò e condusse il marchio a Modena: la gamma GranTurismo e GranCabrio, è stato l’annuncio nei giorni scorsi di Stellantis, dallo stabilimento di Mirafiori torna a casa. I due modelli verranno nuovamente prodotti nello storica fabbrica modenese.
"Se la immagina la Ferrari che va via da Maranello?", riflette a voce alta Adolfo, tra i massimi esperti internazionali nel campo delle vetture da collezione, una vita dedicata alla storia delle automobili, non solo Maserati, dalla quale la famiglia è uscita nel 1971 dopo che due anni prima il brand era stato acquisito da Citroen. "La Maserati ha contribuito a dare lustro e prestigio a Modena, oltre a una continuità occupazionale". Il Tridente tra l’altro ha un legame con Modena ancora più antico del Cavallino Rampante: la fabbrica è stata trasferita in città nell’inverno tra il ‘39 e il ‘40, le prime Ferrari hanno visto la luce nel 1947. "Negli Anni Cinquanta Modena era la capitale mondiale delle automobili da corsa. Al Gran Premio di Formula 1 d’Argentina del 1957 in griglia c’erano 14 vetture, sette Maserati e sette Ferrari, tutte provenienti dalla stessa città. Dieci anni dopo questo sapere viene trasferito sulla produzione delle vetture granturismo ad alte prestazioni. I 360 dipendenti della Maserati erano per la quasi totalità modenesi, la città in quegli anni non era meta di emigrazione dal Sud Italia come Milano, Genova, Torino". "Anche perché – osserva Orsi – si trattava di tecnici specializzati, non di operai semplici da catena di montaggio. Lo stabilimento in via Menotti era diventato una città nella città, un pullulare di biciclette vivacizzava nelle ore di ingresso e di uscita quella che allora era considerata periferia, una distesa di campi agricoli".

E mentre Modena era attraversata dalle auto guidate dai collaudatori che le provavano in autostrada, sulla via Panaria oppure direttamente in autodromo, al piccolo Adolfo negli anni ‘60 capitava di imbattersi nel leggendario Fangio, amico di famiglia. Oppure incrociava i grandi clienti che venivano a ritirare i gioiellini acquistati: "Si presentavano spesso qualche giorno prima, alloggiando al Real Fini, per vivere e ammirare in presa diretta il completamento della loro vettura". Un sorta di turismo industriale ante litteram. "Il rapporto di mio padre e di mio nonno con i collaboratori era diretto, personale. A Maranello c’era Enzo Ferrari, a Modena c’era la Maserati, l’azienda, una grande famiglia: non c’era un’identificazione del marchio con chi guidava la fabbrica. Per loro scelta il nome Orsi era tenuto in secondo piano".
Dopo gli anni d’oro c’è stata una fase di appannamento: "Si sono succedute diverse proprietà, che hanno avuto da un lato un ruolo importante nello sviluppo dello stabilimento, ma nel contempo hanno ‘democratizzato’ la Maserati puntando non più su vetture di altissima gamma, ma sviluppando auto per un target più ampio. Questa strategia può portare vantaggi in termini di vetture vendute, ma nel medio-lungo periodo rende meno brillante l’appeal del marchio". Negli anni, prosegue Orsi, "sono state fatte scelte difficili da digerire per chi ama la Maserati: il trasferimento della produzione lontano da Modena e il recente spostamento della gamma verso l’elettrico. Ma nel mondo ci sono ancora tanti appassionati che si augurano che questa storia lunga 110 anni continui".