Eterno Pupo Dall’Olio, un esempio per tutti

"A 68 anni sono sempre animato da passione e voglia di migliorarmi. La Stadium, come la mia Panini, ha un progetto che parte dal vivaio"

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Sono tante le storie che si intrecciano nel raccontare la promozione in serie A3 della Stadium Mirandola: tra queste anche quella del tecnico Pupo Dall’Olio, una vera e propria icona del volley modenese ed iinternazionale che in due anni è riuscito a trasformare una buona squadra, in una squadra vincente. "Abbiamo fatto una vera impresa – conferma uno dei giocatori più amati sotto la Ghirlandina – perché non eravamo stati costruiti per vincere il campionato".

Cosa è cambiato rispetto alla stagione precedente?

Abbiamo saputo dare il meglio nel momento decisivo, la squadra non era cambiata rispetto a quella che si era fermta in semifinale, ma è cresciuta di testa, senza presunzione, con la consapevolezza di essere in grado di tenere la situazione, e questo lasciatemelo dire, anche grazie al lavoro di tutto lo staff tecnico, e della società".

L’anno prossimo lei compirà 70 anni. Sarà diverso?

"Dopo aver smesso di giocare ho sempre allenato, sempre con passione, e non mi sono mai accorto di aver ammucchiato tanti anni. Il mio non è un lavoro ma solo passione".

Lei l’unico rimasto in attività, del gruppo della prima Panini.

"Ho sempre avuto grandi motivazioni, anche confrontandomi con colleghi con 30 o 40 anni in meno, ho sempre cercato di essere un esempio".

Cosa può insegnare oggi ai 30enni? E’ un’altra pallavolo rispetto alla sua?

"La coerenza e la voglia di migliorare, me per primo, con il lavoro in palestra, dove rimango il puntiglioso di sempre: la pallavolo è cambiata perché sono cambiati i tempi. Quello che è cambiato è il modo di approcciarsi ai giocatori, adesso devi spiegare di più, coinvolgerli di più, per fargli mantenere passione ed obiettivi".

Perchè due anni fa hai scelto Mirandola?

"Dopo aver girato tanto, avevo voglia di lavorare più vicina a casa, e Mirandola, che conoscevo perché ci aveva lavorato mio figlio Andrea, mi sembrava la scelta più giusta: qui si possono fare le cose per bene, la società è corretta, e non fa mai il passo più lungo della gamba. Devo dire che è stata una bella conferma".

Ha potuto anche lavorare in una società che cerca i risultati con i prodotti del proprio vivaio: fatte le debite proporzioni, è una storia che assomiglia molto ad una tricolore di cinquanta anni fa…

"Ho capito dove vuoi arrivare e pur essendo un paragone un po’ azzardato, per molti aspetti è proprio così, la Panini di allora, e la Stadium di adesso sono figlie di due progetti di crescita sul vivaio di due società con forte identità, e grande orgoglio".

Rimpianti?

"Quello più grosso è legato alla conclusione dell’avventura come allenatore della Daytona: sentivo una grande responsabilità, avevo vinto tre competizioni su quattro, e pensavo di meritare qualcosa di diverso dal benservito ricevuto. Non ho però mai pensato di mollare, né allora, né in altri momenti, non ho mai pensato di mollare, ho sempre cercato di trovare traguardi importanti: del resto ho sempre detto che mi sarebbe piaciuto fare i 70 anni in palestra, sulle orme di Silvano Prandi, un uomo che considero un esempio".

Impossibile non chiudere con un occhio alla situazione di Modena Volley: come la vive?

"La vivo da modenese addetto ai lavori e come appassionato: credo che nella situazione attuale, si debba ringraziare Catia Pedrini per quella che ha saputo fare per Modena nei momenti difficili, regalando soddisfazioni e spettacolo, ma anche per averle saputo portare Giulia Gabana. Io la famiglia Gabana la conosco bene, perché a Montichiari con il papà ci ho giocato nei primi anni Novanta, uomo oculato nella gestione, ma di grande ambizione, e se Giulia ha preso anche sono un pochino dagli insegnamenti del padre, Modena può dormire sonni tranquilli!"

Riccardo Cavazzoni