
Il pilota reggiano, che si legò in particolare alla Ducati, festeggia oggi il compleanno. "Allora ogni corsa era davvero un’avventura"
Novantadue anni compiuti oggi e vissuti a tutta velocità. È Bruno Spaggiari, ex centauro che festeggia un nuovo traguardo della vita come fosse un podio artigliato ai tempi in cui sfrecciava in moto. Per gli sportivi che hanno i capelli spruzzati di bianco è un volto molto noto per la presenza nel mondo delle competizioni tra gli anni ‘50 e ‘70, nel periodo ancora avventuroso dei motori, quando ha corso con brillanti risultati su Benelli, Ducati, Morini e Mv Agusta in varie classi. Ha lasciato le competizioni nel 1974, in seguito si è dedicato al settore auto e all’imprenditoria nel campo edile.
La sua folgorante carriera è inizia quasi casualmente, nel segno della passione e di un errore corretto con acrobaticità. "Quando ero ragazzo ciclismo e moto erano le mie passioni. Mi sentivo diviso tra questi due discipline, ma visto che la mia famiglia aveva poche possibilità, ho iniziato con la bici. Non è andata bene, perché andavo forte in salita, però in discesa avevo paura e venivo spesso staccato", inizia Spaggiari attingendo dal vortice dei ricordi, passando con disinvoltura da una due ruote a pedali a una spinta da un potente motore.
"A Reggio davo una mano in una concessionaria di moto a San Pietro. Facevo un po’ di tutto: tenevo in ordine i mezzi e ogni tanto capitava di poter fare un giretto. Ecco, forse quando ero in sella esageravo con il gas e i vigili ormai mi conoscevano. Un bel giorno sento parlare di un provino della Ducati, mi presento. Cercavano giovani piloti, gente nuova. Uno spilungone mi ha prestato la tuta, sono balzato sulla moto, ho dato il massimo, ma la pioggia ci ha messo lo zampino: ho fatto un dritto pauroso sull’erba. Con una manovra incredibile ho salvato la moto. Proprio quel gesto ha convinto l’ingegnere che ero la persona giusta".
Le prime corse sono a livello locale, come la partecipata Reggio-Casina, tesserato con il glorioso Motoclub Reggiano. Poi è una continua ascesa, sino al titolo tricolore nella classe 125. E’ sbocciato un asso, dicono gli sportivi.
"Ogni corsa era un’avventura, quante emozioni ma anche tanti rischi. Come quella volta ad Alessandria: sono caduto e mi sono rialzato. Ho ripreso la gara, ho vinto davanti a Ubbiali. I medici in seguito hanno diagnosticato la rottura della clavicola", prosegue l’ex pilota, ancora saettando di circuito in circuito. La prova che è rimasta nell’immaginario motociclistico risale al 1972, alla 200 Miglia di Imola. Una cocente delusione, un episodio rocambolesco, eppure quasi più scintillante di una vittoria.
"Quella volta ero su una Ducati 750. Ero in testa, in fuga da 320 chilometri. Già immaginavo il podio, i festeggiamenti. Ma è stato Paul Smart a vincere, perché sono rimasto senza benzina a poche curve dal successo, tutto è svanito. Lui ha vinto, la gente applaudiva me", conclude.
Il curioso episodio è stato ricordato qualche anno fa quando la Rossa di Borgo Panigale gli ha riservato un tributo: la produzione di serie di una Ducati Scrambler con il numero 54, lo stesso che il centauro reggiano aveva nella gara di Imola.
Massimo Tass