
L’avvocato Di Legami: "A Reggiolo ci sono ancora 80 appartamenti incompiuti non assegnati. I Comuni non hanno i soldi per ristrutturarli. Si vada verso partenariato pubblico-privato".
Circa 45 aziende, cartiere in gran parte, con annessi veicoli, e 250 tra immobili e terreni. Nella più grossa operazione contro le infiltrazioni della criminalità organizzata nel Nord Italia, secondo le stime della Dia, sono stati sequestrati, e poi confiscati, beni per 400 milioni di euro. Era il 28 gennaio 2015, esattamente dieci anni fa. La notte di Aemilia.
Rosario Di Legami, 56 anni, avvocato palermitano, con studio anche a Bologna, è amministratore giudiziario da 25 anni, in particolare dei beni sequestrati e poi confiscati nel processo Aemilia.
Avvocato, sono passati dieci anni dal blitz di Aemilia.
"Io quella notte degli arresti la ricordo come fosse ieri: alle 8 del mattino stavo già girando con i miei collaboratori per tutte le aziende sequestrate, assieme alla Guardia di Finanza, dalla Bianchini a Sorbolo, a Crotone. Di quel periodo ricordo giornate faticosissime, in parte non serene, i familiari non mi hanno accolto a braccia aperte. Ma anche giornate entusiasmanti... "
Di Legami, che fotografia può scattare di oggi della lotta alla ’Ndrangheta post Aemilia?
"Siamo al punto della valorizzazione del patrimonio definitivamente confiscato, dopo processi anche difficoltosi. Continua il percorso assieme all’agenzia nazionale dei beni, ai vari sindaci, alle province e alla Regione. C’è la necessità di sensibilizzare il legislatore per una riforma sull’utilizzo dei beni confiscati, che deve essere adeguato alle più recenti necessità. Se un bene viene assegnato a un Comune, ma è da ristrutturare, i municipi oggi non hanno la forza economica per provvedere. Il prossimo passo, che deriva anche dall’esperienza di Aemilia, è rivedere la legislazione in merito alle modalità di valorizzazione dei beni confiscati".
Può farci un esempio concreto?
"Una serie di immobili a Reggiolo – circa 80 appartamenti – che potrei definire una ’incompiuta’, all’interno di un’operazione di riciclaggio, che necessiterebbero di decine o centinaia di migliaia di euro per essere ristrutturati. Non sono ancora stati assegnati. La difficoltà è capire cosa farci. Ma è un problema del legislatore".
Tante cose però, in questi dieci anni, sono state fatte e assumono un valore simbolico.
"Certo, parlo per la mia esperienza: dai 40 camion dati ai vigili del fuoco, al capannone della Protezione civile di Reggio Emilia che era un bene dei Grande Aracri, allo smaltimento di decine di tonnellate di amianto, nel Modenese. Tanto è stato fatto anche e soprattutto grazie all’autorità giudiziaria di Bologna, che ha supportato questa opera di legalizzazione; grazie alla Dda senza le cui indagini Aemilia non sarebbe esistita".
Di recente il procuratore capo di Reggio Emilia Paci ha sottolineato come non si debba abbassare la guardia, con le infiltrazioni ancora presenti sul territorio.
"Aemilia è stato un punto di inizio, è evidente che le infiltrazioni non solo non sono finite, ma è necessario tenere alta l’attenzione, perché non vorrei si ritornasse a una forma di normalizzazione: ’È avvenuto Aemilia, non succederà più’. No, più la criminalità è silenziosa, più è pericolosamente perniciosa. Entra nei gangli della società civile senza fare rumore. L’appello dunque è doppio: non solo denunciare, ma anche in via preventiva evitare di avere contatti con soggetti o associazioni che tendono a distruggere l’economia di mercato. Parlo anche del caporalato, che è una forma di criminalità economica che distrugge l’imprenditoria sana".
Lei è membro del comitato scientifico della nuova Consulta di legalità del Comune di Reggio. È uno strumento utile?
"La Consulta legalità è uno strumento importante in cui il sindaco e il coordinatore hanno coinvolto molta parte della società civile: sindacati, imprese, Libera; se c’è una condivisione di valori si riescono a mettere paletti per prevenire comportamenti illeciti".
Cosa si deve ancora fare oggi?
"Ritorno sul punto: bisogna rivalorizzare la finalità sociale delle confische. Il nuovo codice antimafia mette sullo stesso piano la vendita dei beni per soddisfare i creditori con la finalità sociale. Mentre bisogna ridare centralità alla restituzione alla collettività con progetti che vadano a buon fine. Per questo serve un supporto economico, con un partenariato pubblico-privato".
C’è una cosa di cui va particolarmente fiero?
"Nell’ambito di Aemilia, a Sorbolo Mezzani, per primi abbiamo dato le case confiscate a famiglie ucraine scappate dalla guerra: erano quattro donne e otto bambini. Lì c’è stata una fantastica collaborazione: noi abbiamo dato le case, la migliore imprenditoria parmense le ha sistemate, il Comune ha accolto con una cooperativa. Ecco la sinergia. Sempre a Sorbolo stiamo creando il parco della legalità all’interno dei beni confiscati di Aemilia nei terreni che erano di Giglio, Pallone e Vetere".
Quanti dei beni sequestrati in Aemilia sono ancora da destinare?
"Ancora ci sono varie attività immobiliari che devono essere valorizzate: molte incompiute, quindi c’è una oggettiva difficoltà a poterle destinare. Altre invece, per la soddisfazione dei creditori, devono essere messe in vendita. Nel caso specifico di Aemilia, già dai sequestri il 90% degli immobili fruibili è stato valorizzato con affitti. Poi l’utilità sociale arriva alla confisca".
Quanto tempo decorre dal sequestro alla confisca?
"Ormai i tempi sono rapidi: 2 anni in primo grado, 2 anni il secondo grado. Il problema è poi la valorizzazione. Noi dobbiamo accertare che i creditori non siano collusi con i mafiosi e questo lo verifica il tribunale penale. Appena fatta questa lunga verifica, poi il bene viene messo in vendita. Ecco perché serve una riforma del legislatore per velocizzare i tempi per assegnazione per pubblica utilità e rimodulare le modalità di assegnazione".