Il mito di Fetone, il fiume Po e quella Ferrari che deve insegnarci a vivere

La presentazione del libro di Gianluigi Ceruti è stata l'occasione per riflettere sulla crisi climatica con il contributo di Gian Antonio Stella ed Eike Schmidt

Il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt

Il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt

Rovigo, 12 settembre 2023 – Fetonte era figlio di Elio, cioè del Sole. Gli antichi facevano finta di credere che il sole transitasse nel cielo da oriente a occidente sopra un carro trainato da cavalli. Un giorno Fetonte chiese al padre il permesso di guidare il carro, come i ragazzi di oggi chiedono di provare una Ferrari; e proprio come i ragazzi di oggi all’uscita della discoteca, Fetonte perse il controllo dei cavalli e il carro, avvicinandosi troppo alla Terra, rischiava di bruciarla.

Così intervenne Giove che con un fulmine scagliò Fetonte nel fiume Eridano, che i Greci localizzavano vagamente nel lontano, per loro, Nord Ovest. Non rimaneva che identificarlo nel Po e il gioco è fatto. La caduta provocò, non solo lo schianto del carro (la Ferrari dei tempi nostri) ma uno sconvolgimento degli spazi siderali e dell’orbe terracqueo e causò un tale dolore nelle sorelle Eliadi da trasformare il loro corpo umano in pioppi e le loro lacrime in ambra.

I primi a parlare di questa leggenda furono gli artisti. Tra i grandi scrittori ricordiamo soprattutto Ovidio nelle Metamorfosi e Dante Alighieri nella Divina Commedia, ma anche storici e geografi come Eschilo, Euripide, Erodoto, Strabone. Nell’arte si celebrano le opere da Michelangelo a Picasso.

Tutto questo e altro ancora troviamo nel libro "Fetonte, il mito del fiume Po. Alle origini del Delta Padano" (Edizioni Agorà), scritto da Gianluigi Ceruti (con contributi di Leobaldo Traniello e Roberta Reali) e presentato in anteprima nei giorni scorsi a Fratta Polesine (Rovigo) dal giornalista Gian Antonio Stella e da Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi di Firenze dove, tra l’altro, si trova il più famoso sarcofago romano che rappresenta il mito di Fetonte.

Ma cosa ci dice questo mito e perché è così attuale? "La caduta di Fetonte combina un disastro non solo per sé ma anche per l’umanità: asciuga i fiumi, brucia le foreste, incendia il suolo, nasce il deserto - dice Schmidt - . Se pensiamo alla crisi climatica e ai disastri ecologici di oggi, il mito ci fa riflettere e ci mette in guardia".

L’equilibrio del cosmo viene dunque messo in discussione dall’incapacità di Fetonte di guidare il carro. E di causare un super incidente da incendiare il mondo. I guai creati da Fetonte sembrano così essere arrivati fino a oggi, attraverso l'insipienza dell’uomo che ha guidato il carro in maniera sbagliata, esagerando. Se l’umanità non avesse ripetuto l’errore di Fetonte, oggi forse non ci troveremmo con il buco dell’ozono, con il clima profondamente cambiato. "Se invece diamo un’interpretazione junghiana del mito - continua Schmidt – allora bisogna dire che guidare il carro del padre, rappresenta una necessità psicologica. Tutti noi vogliamo diventare qualcosa, ma bisogna provare. Non si può lasciare parcheggiato il carro per tutta la vita e farlo arrugginire. Prima o poi, come figlio, Fetonte doveva imparare a guidarlo. Però bisogna farlo trovando un certo equilibrio. Il concetto venne espresso da Aristotele e poi fu sviluppato nella politica del Rinascimento. Ed è per questo che Fetonte lo vediamo spesso rappresentato in affreschi di sale pubbliche: per ricordare a tutti che quando bisogna prendere decisioni importanti per la collettività, occorre farlo con il massimo della saggezza".

Poteva cadere ovunque ma il carro, secondo quanto sostiene la tesi del libro, finì nel Po all’altezza di Crespino, in provincia di Rovigo. "Le scoperte archeologiche di Frattesina, in Polesine – afferma l’autore Gianluigi Ceruti – testimoniano che qui passava la via dell’ambra (le lacrime delle sorelle di Fetonte). I veneti venivano dall’Asia Minore. Dopo la guerra di Troia (XIII secolo avanti Cristo) si rifugiarono nelle zone più nascoste dell’Adriatico, come il Delta del Po. Qui, nella locomotiva (che poi è un carro) del Nord Est, hanno svolto attività produttive importanti, lavoravano gioielli e andavano nel Baltico a prendere l’ambra".