Toulouse-Lautrec, la modernità senza regole

Fino a giugno a Palazzo Roverella di Rovigo la grande mostra dedicata all’artista: le tecniche, le amicizie, la rivoluzione grafica

Henri de Toulouse-Lautrec ’Femme se frisant’ (1890)

Henri de Toulouse-Lautrec ’Femme se frisant’ (1890)

Rovigo, 23 febbraio 2024 – La signora con i capelli rossi è seduta al tavolino, ‘en attente ’, in attesa. Davanti a lei un calice con la ‘fata verde’, l’assenzio, capace di regalare voli d’ebbrezza. Quanti bicchierini d’assenzio abbia bevuto anche Henri de Toulouse-Lautrec, non lo sapremo mai. Tanti, forse troppi. Ma sarebbe ingiusto legare il ricordo del suo genio a una serie di aggettivi con cui lo si è appellato spesso, piccolo, laido, storpio, depravato, erotomane... "Noi vogliamo cercare di sottrarre Toulouse-Lautrec dal mito dell’artista provato nel fisico e dedito all’alcol, e mostrare invece quanto sia stato straordinario in tutto il suo lavoro, e non solo come autore di affiches", spiega Francesco Parisi che con Jean-David Jumeau-Lafond e Fanny Girard, direttrice del Museo dedicato all’artista nella città natale di Albi in Francia, cura la grande mostra che da oggi al 30 giugno a Palazzo Roverella di Rovigo (grazie alla Fondazione Cassa di risparmio di Padova e Rovigo, col sostegno di Intesa Sanpaolo) riporta Toulouse-Lautrec nel suo tempo, nella Parigi di fine ‘800, fra i suoi amici artisti e letterati e, certo, nei cabaret come Le Chat Noir o in quelle case di piacere dove Henri cercava di cogliere qualche ‘fleur du mal’ .

Sono più di duecento le opere esposte, una sessantina quelle di Toulouse-Lautrec, con prestiti eccezionali anche da musei inglesi e americani. Il percorso cronologico ci accompagna lungo la vita di Henri che, nato nel 1864, già nel 1873 si trasferì con la famiglia a Parigi. Una grave malattia genetica e due incidenti gli impedirono un corretto sviluppo fisico, ma questo non lo fermò nel desiderio di seguire una sua strada: "Mentre Marcel Proust, suo compagno di liceo, si impegnava per farsi accogliere negli ambienti aristocratici, Henri, che arrivava da una famiglia nobile, fece di tutto per lasciarli e intraprendere la vie de bohème ", sottolinea Bertrand du Vignaud, pronipote dell’artista. Nella Parigi degli anni ‘80 dell’Ottocento, quella che conosciamo come Belle Époque, Toulouse-Lautrec entra nell’atelier di Fernand Cormon: gli impressionisti avevano fatto scuola ma i giovani di quel gruppo, fra cui un attivissimo Vincent Van Gogh, preferivano altri percorsi, si definivano "les peintres du Petit Boulevard" , andavano già oltre. Toulouse-Lautrec era affascinato dalle danseuses , le ballerine di Degas, e comunque tutta Parigi era una città di teatri, di cafés, di locali, una città spettacolo. "Qualcuno definisce Toulouse-Lautrec come post impressionista – aggiunge il curatore –. A me piace ricordare le parole di Walter Benjamin che disse semplicemente che era moderno, più moderno dei suoi contemporanei".

Nella sua breve esistenza (morì nel 1901 a neppure 37 anni), Toulouse-Lautrec esplorò tecniche rivoluzionarie, come la pittura a olio magro con il colore diluito da trementina, eseguita su cartone. Nella mostra vediamo le sue opere affiancate a quelle coeve di altri artisti come François Gauzi o Félicien Rops, e pure Giovanni Boldini e Giuseppe De Nittis. Alcuni focus sono dedicati proprio a particolari aspetti della sua attività, gli amici, le donne (quasi sempre dalla fulva capigliatura, come nello studio per il ’Salon de la Rue del Moulins’ ), i paradisi artificiali e la rivoluzione grafica con i grandi manifesti dallo stile lineare, apripista della pubblicità moderna: ne eseguì poco più di trenta in tutta la sua vita, eppure sono tutti diventati iconici, come il ’Divan Japonais’ scelto anche per la copertina del catalogo edito da Dario Cimorelli. Sono esposte anche, per la prima volta in assoluto, le opere del movimento artistico ’Les Arts Incohérents’, anticipatrici di avanguardie come il Dadaismo: erano state considerate disperse, sono ricomparse nel 2018. "La regola del mio prozio era di non avere regole – sorride Bertrand du Vignaud che abita ancora nella casa che fu dell’artista –. A me piace affiancarlo a un altro grande, Andy Warhol, che nel pieno del ‘900 arrivò a New York, straniero, e seppe cambiare la storia dell’arte".