DONATELLA FILIPPI
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Omar Lepri. Una vita tra il pallone e l’officina di famiglia: "Io, profeta in patria"

Calciatore, poi allenatore e ora direttore tecnico del Riccione. Nel 2004 è rientrato in Romagna per iniziare a lavorare con il padre. chiudendo la carriera in campo con addosso la maglia della sua città.

Omar Lepri. Una vita tra il pallone e l’officina di famiglia: "Io, profeta in patria"

Omar Lepri. Una vita tra il pallone e l’officina di famiglia: "Io, profeta in patria"

Ha fatto tutto in fretta Omar Lepri. Ha iniziato a giocare a calcio da piccolissimo, ha girato l’Italia da giovanissimo, è diventato papà prestissimo. E pure nonno. Mantenendo sempre un legame, fortissimo, con la sua Riccione. Da lì è partito da bambino, lì è tornato oggi, alla corte del presidente Cassese, a fianco di mister Riolfo nello United. Ma per raccontare Lepri e la sua storia di ’pallone’ bisogna partire da lontano. Centrocampista, 47 anni da compiere a maggio, i primi calci nel parchetto con gli amici del quartiere Alba, dove papà Luciano ha l’officina meccanica. Il suo Real Madrid da bambino è il Riccione calcio. Lì inizia la sua carriera prima di fare la valigia per inseguire un sogno. "Il calcio per me è una malattia – racconta – A 16 anni sono andato a giocare a Cesena. Poi ho fatto un po’ lo ’zingaro’ in giro per l’Italia". Sardegna, Sicilia, Toscana, fino a Bari in serie B.

"E fino a quando nel 2004, ormai consapevole che in serie A non ci sarei più arrivato – sorride – ho deciso di tornare a Riccione e iniziare a lavorare con mio padre, insieme a mia sorella Francesca. Avevo già la mia famiglia, mia moglie Carlotta, le bambine Sara ed Eleonora e un lavoro sicuro". Ma senza abbandonare il sogno. Anche se da un’altra prospettiva. "Fosse mai. A Riccione ho chiuso la mia carriera da giocatore, nel posto che amo, prima di fare l’allenatore. Cinque anni meravigliosi. Non è facile essere profeti in patria, io ho avuto la fortuna di esserlo. Quando giravo per strada mi sentivo come il sindaco". E il nome della sua città lo ha portato in giro per l’Italia con orgoglio. "Ai sardi, quando giocavo al Tempio, ero quasi riuscito a far credere che il nostro mare fosse meglio del loro. Quando dicevo ai miei compagni di squadra che ero di Riccione notavo sempre un pizzico di invidia". Il Salotto, il mondo della notte, viale Ceccarini. "In estate me li trovavo sempre tutti a casa ed era una festa. Sì che noi la ’Riccione by night’ ce la siamo vissuta appieno. Oggi è un po’ diversa, certo, ma non la cambierei con nessun’altra città al mondo". Uno spot fatto con il cuore. Centomila volte meglio di quelli che passano decine e decine di volte in tv. "Mia moglie è di Bologna e per qualche anno abbiamo avuto lì la nostra base. Poi quando ho smesso di giocare non ci siamo nemmeno posti il problema su dove andare a vivere in pianta stabile... Vuoi mettere la qualità della vita che c’è qui? Come in nessun altro posto. Ho un fortissimo debito di riconoscenza verso la mia città. Il sogno? Riportare il Riccione nel calcio professionistico". Perché no...