FRANCESCO LOLLI
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L’esempio di vita del Generale: "Non possiamo delegare i nostri poteri ai prevaricatori"

Dalla Chiesa, dopo aver combattuto con la Resistenza, lottò contro terrorismo e mafia "Se se è vero che esiste un potere, questo è dello Stato e delle sue leggi".

Dalla Chiesa, dopo aver combattuto con la Resistenza, lottò contro terrorismo e mafia "Se se è vero che esiste un potere, questo è dello Stato e delle sue leggi".

Dalla Chiesa, dopo aver combattuto con la Resistenza, lottò contro terrorismo e mafia "Se se è vero che esiste un potere, questo è dello Stato e delle sue leggi".

La vita di Carlo Alberto dalla Chiesa è una di quelle storie che hanno visto intrecciarsi filoni diversi: resistenza, lotta al terrorismo, al banditismo e poi alla mafia. E’ stato un raro esempio di vita dedicata al Paese e sempre sotto l’egida della cultura e della legalità: fino a quel tragico 1982 a Palermo, dove i colpi di Cosa Nostra portarono via il Generale, al tempo prefetto della città, insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e a Domenico Russo, agente della Polizia di Stato che li seguiva su un’altra macchina.

Nato nel 1920 a Saluzzo, figlio di un ufficiale dei Carabinieri e arruolato nell’Arma durante la guerra, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 continuò a servire rifiutandosi di collaborare nella caccia ai partigiani. Ricercato dai nazisti, fuggì in tempo dalla caserma di Ascoli Piceno e si unì alla Resistenza lui stesso passando poi le linee nel 1944 e partecipando alla liberazione alleata di Roma. In seguito fu incaricato di garantire la sicurezza della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nel frattempo si laurea per la seconda volta (in Scienze Politiche, la prima era stata in Giurisprudenza) e passa in servizio permanente effettivo come carabiniere, da lì a poco della Repubblica. Appena sposato si trasferì in Campania e poi in Sicilia per partecipare alla lotta contro il banditismo, endemico nel primo dopoguerra, arrivando a diventare Capo di stato maggiore del Comando Forze di repressione al banditismo, indagando sui criminali indipendenti come Salvatore Giuliano (responsabile fra le altre cose della strage del 1° maggio, dove 11 innocenti furono uccisi) e organizzati come il boss mafioso Luciano Liggio, mandante dell’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto che verrà sostituito da Pio La Torre, anche lui ucciso per gli ideali di legalità che perseguiva.

Continuando a spostarsi per l’Italia e assumendo incarichi sempre più importanti dalla Chiesa dagli anni ’60 iniziò a operare con la Commissione parlamentare antimafia, e realizzò numerosi arresti nell’ambiente delle cosche. Fu una sua iniziativa quella di recludere in zone isolate come l’Asinara e Lampedusa i boss trattenuti. In quegli anni nasceva un’altra minaccia per i valori della Costituzione e della libertà che dalla Chiesa difese tutta la vita: il terrorismo di stato, nero e rosso. L’esperienza di contrasto alla malavita al Sud fu indirizzata poi a Nord nella Torino degli operai, dove il crimine nasceva in quegli anni sotto l’egida dell’estremismo politico. Nel 1974 dalla Chiesa fonda il Nucleo Speciale Antiterrorismo, che malgrado i risultati ottenuti (fra i quali l’arresto del brigatista rosso Renato Curcio) verrà chiuso nel 1976, due anni dopo. Da lì a poco, nel 1978, l’Italia sarà segnata dal rapimento e dall’uccisione di Aldo Moro. dalla Chiesa fu promosso Generale di divisione nel 1979 e vicecomandante generale dell’Arma due anni dopo.

Il 30 aprile 1982 lo vediamo a Palermo come prefetto. Appena arrivato dalla Chiesa si vide circondato dal silenzio di alcuni abitanti della città e di membri delle istituzioni, restii a collaborare e a rischiare. Non tutti, però: il primo gesto di benvenuto fu proprio dagli studenti delle scuole palermitane, che lo accolsero e che lui non smise mai di incontrare e coinvolgere. Dalla Chiesa, operando in Sicilia, denunciò in più occasioni il disinteresse e l’arretratezza del pensiero strategico da parte della politica e delle istituzioni. Istituzioni che però non smise mai di onorare e delle quali fu fedele servitore e rappresentante: "...se è vero che esiste un potere, questo è dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi. Non possiamo delegare questo potere ai prevaricatori, ai prepotenti e ai disonesti".

Disonesti e prepotenti che dalla Chiesa si sforzò sempre di arginare, combattere, emarginare e contrastare dove non fosse più possibile educare. Il riconoscimento per l’efficacia dei suoi sforzi, malgrado una denunciata mancanza di mezzi e uomini, furono gli arresti effettuati e l’indebolimento dei clan. Il suo non era un messaggio scontato, proclamava a chiare lettere che "La mafia si può sconfiggere". Per questo attirò su di se l’ira delle organizzazioni malavitose: in via Carini il 3 settembre 1982 la macchina sulla quale Carlo Alberto dalla Chiesa viaggiava con la moglie Emanuela Setti Carraro fu crivellata dai colpi del Kalashnikov di Antonio Madonia, mentre l’agente Domenico Russo subiva la stessa sorte per mano di Giuseppe Greco.