Marittimi in carcere in Gambia, contestata la misura delle reti

Assurdo processo al sambenedettese Liberati e al comandante

Il direttore di macchina della Idra Q Massimo Liberati di San Benedetto

Il direttore di macchina della Idra Q Massimo Liberati di San Benedetto

San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno), 4 marzo 2015 - Sviluppi inattesi per il sequestro della nave da pesca Idra Q, iscritta a Mazara del Vallo, ma di proprietà della Italfish di Martinsicuro, avvenuto una decina di giorni fa in Gambia (Senegal). A bordo ci sono trenta uomini d’equipaggio, fra cui tre italiani originari di Marche e Abruzzo: il comandante Sandro De Simone, di Silvi, il direttore di macchina, Massimo Liberati, detto Badoglio, 52 enne di San Benedetto e Vincenzino Mora di Torano.

Dopo il fermo della nave, condotta nel porto di Banjiul, lunedì sera il comandante e l’ufficiale di macchina sono stati processati con “udienza sommaria” e condotti in carcere. Un provvedimento che contrasta con i diritti umani e del codice della navigazione, che sta preoccupando la società armatrice e i familiari dei due marittimi. Sono accusati d’avere reti non regolamentari.

I militari, saliti a bordo della nave da pesca, armati di Kalashnikov, hanno contestato presunte violazioni per una rete trovata a bordo, ma non utilizzata, le cui maglie, accertate con tanto di righello, sarebbero di 68 millimetri invece dei 72 previsti. Le preoccupazioni nascono dal fatto che il Paese è a prevalenza islamica e governato da una forma dittatoriale che rende difficili i colloqui. La Farnesina afferma che l’Ambasciata di Dakar, competente per territorio, si è attivata, appena appresa la notizia dell’arresto dei due italiani e che sta prestando la massima assistenza ai connazionali.

Anche il Ministero degli Esteri è all’opera con la diplomazia e sta cercando di fare chiarezza sulla vicenda, dopo la denuncia fatta lunedì dal presidente di Federpesca. Gli armatori della barca, Federico Crescenzi e un membro della società, si trovano in Gambia e sono in contatto con l’Ambasciata, con la Italfish e con le famiglie dei marittimi. La moglie del comandante ha parlato col marito lunedì, poco prima dell’arresto. «Tutto è iniziato una decina di giorni fa – spiega un dirigente della Italfish srl, che sta gestendo il caso - Un equipaggio armato della marina militare locale, è salito a bordo e ha ispezionato minuziosamente il natante. In un angolo della coperta ha trovato delle reti, secche sotto il sole d’Africa, non utilizzate da mesi. Si tratta di un filato di canapa e nailon che può aver perso dei millimetri che hanno giudicato irregolari.

A quel punto hanno ordinato al comandante di dirigersi al porto di Banjiul dove la nave è rimasta ferma fino al processo farsa di lunedì e l’arresto dei due ufficiali di bordo. Noi peschiamo nel rispetto delle regole, paghiamo la concessione e abbiamo gli osservatori governativi a bordo. Figuriamoci se possiamo utilizzare reti irregolari». Chi va per mare da quelle parti mette sempre in conto che qualcosa di simile possa prima o poi accadere. Molti marittimi sambenedettesi e abruzzesi hanno vissuto momenti difficili anche a bordo dei pescherecci oceanici della stessa Italfish tra la fine degli anni 90 e l’inizio del 2000, quando furono sequestrati l’Escalibur e il Barracuda, in Guinea Bissau, ma la storia narra anche del sequestro del Marilin e del Genevieve, per citare i casi più seguiti. Il fratello del comandante dell’Idra Q, Cesare, racconta che una quindicina di anni fa, in Somalia, era stato sequestrato dai pirati per diversi mesi. Portato a terra, aveva vissuto in una capanna, poi l’armatore riuscì a far rilasciare lui e gli altri tre membri dell’equipaggio.