Bologna, curata dal linfoma a 15 anni, ora lavora nello stesso reparto

Jessica Bandini, 28 anni, biologa all’oncoematologia pediatrica del Sant’Orsola: “Ai piccoli pazienti dico: se ce l’ho fatta io, ce la farai anche tu”

Jessica Bandini, 28 anni, biologa dell’oncoematologia pediatrica del Sant’Orsola

Jessica Bandini, 28 anni, biologa dell’oncoematologia pediatrica del Sant’Orsola

Bologna, 5 febbraio 2017 - Era un’adolescente al primo anno di liceo quando la parola tumore è entrata nella sua vita. Jessica Bandini è guarita, ma l’oncologia è rimasta nel suo mondo: oggi ha 28 anni, è biologa e lavora nel laboratorio di oncoematologia pediatrica del Sant’Orsola, dove nel 2004 le fu diagnosticato un linfoma di Hodgkin.

Dottoressa Bandini, che cosa sente quando scopre che dietro un campione di sangue o di tessuto c’è qualcuno colpito da una malattia come la sua?

«Mi dico che se ce l’ho fatta io, ce la farai anche tu con un po’ di coraggio e determinazione – si rivolge a un paziente immaginario –. Qui sei in buone mani, sarai curato in un ambiente familiare e sarai protetto come lo sono stata io».

Il linfoma l’ha colpita a 15 anni. Ha avuto paura?

«No, forse mi ha aiutato l’incoscienza. Ricordo però che furono giornate particolari attorno al Capodanno del 2004: ho scoperto un linfonodo sul collo facendo la doccia. Subito dopo un ricovero nell’ospedale della mia città, a Forlì, per l’intervento di asportazione. E poi l’incontro qui in reparto con i miei genitori e i medici. Entrarono prima mamma e papà e poi io».

Che cosa le fu spiegato?

«Che avrei dovuto fare la chemioterapia e la radioterapia. E la cosa più pesante da affrontare è stata la perdita dei capelli, anche se ora mi rendo conto che rispetto all’obiettivo da raggiungere, cioè la guarigione, si trattava di una banalità, perché i capelli ricrescono. Ma ero nell’età del cambiamento, delle prime relazioni con i ragazzi. Insomma, un po’ mi vergognavo di mettere la fascia e poi la parrucca».

Riflessi sulla sua vita?

«Ho limitato le uscite con gli amici e le vacanze al mare, ma ho salvato la scuola. Il linfoma non poteva farmi perdere l’anno. Il giovedì venivo a Bologna a fare la chemio e il giorno dopo non stavo bene e restavo a casa. Ma il sabato tornavo a scuola, dove i compagni mi trattavano come sempre: merito loro e anche mio».

Poi è arrivato il giorno della guarigione?

«Sì. Ma la guarigione del corpo e quella dell’anima hanno due percorsi paralleli. Per me il secondo è stato più lungo. Ero arrivata alla fine del liceo classico linguistico, provavo rabbia e un senso di ingiustizia per quello che mi era successo. Ne ho parlato qualche volta con le psicologhe dell’ospedale. Poi ho deciso di cambiare l’indirizzo di studi e ho puntato su materie scientifiche».

Per tornare nel reparto dove era stata curata?

«All’inizio non ci pensavo, anche se ogni tanto passavo per salutare i medici. Poi è arrivato il momento del tirocinio. E dentro di me è scattato qualcosa, ho voluto mettermi alla prova e venire in questo laboratorio, anche per il desiderio di dare il mio contributo. Ho avuto un colloquio con il professor Andrea Pession che mi aveva seguito per tanti anni: è andato bene e così ho preparato qui la tesi e il professore è stato il mio relatore».

E poi è arrivato anche il lavoro?

«Non subito. Circa un anno dopo c’è stata l’opportunità di diventare una contrattista Ageop (Associazione genitori ematologia oncologia pediatrica) per un progetto nel laboratorio di diagnostica. Ora sono qui e ringrazio chi ha creduto in me».

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