Pd, Bologna la rossa rifiuta la scissione

Viaggio tra i militanti dem: "Dov’è finita la disciplina di partito?"

Il circolo Arci Benassi, cuore storico della sinistra a Bologna (foto Schicchi)

Il circolo Arci Benassi, cuore storico della sinistra a Bologna (foto Schicchi)

Bologna, 19 febbraio 2017 -  Un déjà-vu. L’ennesimo. Incredula e spaesata, Bologna assiste al travaglio del Pd con lo stesso stato d’animo di quattro anni fa. Era l’aprile del giaguaro da smacchiare, i dem avevano appena «non perso» le elezioni e si apprestavano a votare Marini al Quirinale. «Fermatevi», twittò l’allora segretario regionale Stefano Bonaccini (oggi governatore), dando il via alla rivolta che stoppò l’operazione, mal digerita (è un eufemismo) dalla base.  «Fermatevi», in sostanza, è quanto tutta l’Emilia-Romagna continua a urlare oggi, tra appelli oltre le correnti e petizioni sul web: dal numero uno Paolo Calvano, renziano di ferro, all’ultimo circolo delle ultime zone ‘rosse’ del capoluogo. La scissione non va giù, non va giù l’ennesima litigata in casa per motivi considerati pretestuosi, non va giù che di mezzo ci sia ancora Bersani, che pur restando tra le figure più amate questa volta pare incrociare solo briciole di consenso, consegnando la sua immagine sempre di più al passato. Circolo Arci Benassi, polmone storico della sinistra bolognese. 

Un centro sociale punto di riferimento per tutta questa periferia residenziale nata nel dopoguerra, dove il Pd raccoglie di più che nei quartieri operai (leggi Bolognina). Al tavolo, ironia della sorte, si smazzano le Piacentine. «Facciamolo questo congresso, che problema c’è? In fondo è come la briscola, vince chi arriva a 61», sintetizza Mariano, 80 anni, curriculum del volontario. Comanda denari, Elia, l’altra metà della coppia, molla il carico: «La fai troppo facile, mica ci vogliono andare, sennò sanno che perdono. E pensano che noi non ce ne accorgiamo».    Trenta punti, mano pesante, la spettatrice Ada sentenzia: «Un tempo c’era la disciplina di partito, oggi ognuno pensa per sé. Guardarsi indietro non mi piace, ma sicuri che ci abbiamo guadagnato?». Già, la disciplina. Quella che a Bologna e in regione alla fine funziona ancora, marchiata nel profondo del dna. 

La terra nata rossa è stata una delle poche fedeli a Renzi al referendum e oggi, se scissione sarà, non vedrà sostanzialmente alcun transfugo di peso lasciare la nave. Le divisioni ci sono, eccome, la guida renziana è stata più sopportata (sempre lealmente) che supportata, tanto che il nome di Andrea Orlando viene visto come l’alternativa ideale tra questi venti di tempesta. Ma l’unità resta la priorità. «Gli iscritti sono spaesati, si aspetterebbero discussioni sui temi concreti e non queste polemiche di aria fritta», allarga le braccia Mario Oliva, renzianissimo segretario nella trincea della Bolognina, così diversa da 30 anni fa che in sei mesi ha visto il Pd sconfitto alle amministrative e al referendum: «Abbiamo tanti problemi da affrontare, lavoro, sicurezza e legalità, e ci perdiamo in beghe del genere».    In questo weekend i circoli restano in gran parte chiusi, le assemblee sono in programma per l’inizio della settimana. Ma con quale partito? «Bella domanda, chi lo sa? – ride, per non piangere, Mirko Cevinini, segretario nel rossissimo ‘Reno’ – Sono giorni che mi chiedono cosa stia accadendo, nessuno è a favore di questa scissione. C’è molta amarezza, non lo si può negare». Andrea Forlani è a capo del Galvani, dove un tempo la tessera numero uno era di Prodi: «Quello che sta accadendo è sconcertante, la gente ascolta D’Alema e Bersani e non capisce: questa non è politica, ma un regolamento di conti a livello personale».    Nella borghese Saragozza guida il partito il giovanissimo Francesco Massarenti, 25 anni: «La scissione è una scelta tragica che restingerà il nostro orizzonte». Provenienze diverse, un’unica conclusione. Con il timore che i danni maggiori, ormai, siano già stati fatti. 

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