
La Procura aveva chiesto 24 anni per la morte del 23enne Klajdi Bitri: esclusa l’aggravante. In aula anche l’arma del delitto e alcune intercettazioni in carcere mentre parla con la fidanzata.
Condannato a 18 anni di reclusione per aver ucciso con una fiocina da sub un ragazzo albanese di 23 anni, Klajdi Bitri.
Esclusa l’aggravante dei futili motivi. Si è chiuso così ieri il processo di primo grado per il delitto di Sirolo, avvenuto il 27 agosto del 2023. Imputato Fatah Melloul, 28 anni, algerino, accusato di omicidio volontario aggravato. Tra i due c’era stato un litigio per un diverbio stradale, in via Cilea.
Dopo averlo colpito con la fiocina, il 28enne se ne era andato a pesca con la fidanzata, a Falconara, dove è stato poi arrestato dai carabinieri (non si era accorto, disse, di aver ucciso una persona). La Corte di Assise, presieduta dal giudice Roberto Evangelisti, ha sciolto la sentenza in meno di due ore di camera di consiglio prendendosi 90 giorni per le motivazioni e condannando il 28enne a pagare anche una provvisionale di 40mila euro ai genitori e al fratello della vittima (presenti ieri in aula) in attesa che il risarcimento danni per la perdita subita venga stabilita in sede civile.
Richiesta della procura e argomentazioni
La Procura, con il pubblico ministero Marco Pucilli, aveva chiesto una condanna più alta, a 24 anni e che includeva anche l’aggravante dei futili motivi. Breve la discussione della difesa, pm e parte civile. Quest’ultima ha voluto che la fiocina fosse portata e mostrata in aula, dove è rimasta fino a quando la Corte non si è ritirata in camera di consiglio, poco dopo le 12. Nella requisitoria il pubblico ministero ha ritenuto che la condotta dell’imputato "è stata volontaria, non c’era una situazione di pericolo tale per difendersi così". Il colpo dal fucile da sub è stato sparato, come emerso anche dall’autopsia. Di tutt’altra tesi l’arringa della difesa, rappresentata dall’avvocato Davide Mengarelli, che ha sottolineato più volte come da parte del suo assistito non c’era nessuna volontà di uccidere. "Non è stato un gesto volontario – ha detto il legale – lo dimostra anche quello che ha fatto dopo, è andato a pesca, non si è sbarazzato della fiocina, con la fidanzata parlava di cosa mangiare a cena, la fatalità è stata protagonista di questo evento".
Dichiarazioni in aula e reazioni
I familiari della vittima erano parte civile con gli avvocati Marina Magistrelli e Giulia Percivalle. Sia il pubblico ministero che i legali dei familiari hanno citato, nella discussione in aula, alcuni passaggi di un colloquio intercettato in carcere dove l’imputato parlava con la fidanzata che era andato a trovarlo. Parole consapevoli di quanto fatto. "Qualcosa mi spingeva o morire o ammazzare, capito?". E ancora "sono albanesi, so pazzi, sicuramente erano tutti fatti", "mi dispiace ma lo volevano proprio..perché se è successo..se era un poliziotto lì non sparava? Ca..o. Eh cosa? Figlio di p..ammazzato come uno scarafaggio", "il diavolo mi ha vinto, mi ha proprio chiuso gli occhi". Sul paragone ad uno scarafaggio però la difesa ha precisato che era una frase presa da un film e visto dalla coppia, nessuna allusione alla vittima. L’imputato, tradotto in tribunale dal carcere di Bologna dove è recluso, è stato riportato nella casa circondariale prima della lettura della sentenza.