
Michele, Francesco e Marco fondatori di ’Viticoltori Alto Appennino Emiliano’. Tra i ragazzi ci sono un agronomo, ma anche un antropologo e un laureato in Scienze geografiche
Bologna, 27 agosto 2024 – È un luogo un po’ unico, Rocca Corneta. Località a Lizzano in Belvedere, ai piedi dei Monti della Riva, e vicina alle acque del Dardagna. Uno di quei posti piccoli che sembrano fermi nel tempo e che invece da decenni intercetta giovani, olandesi e agricoltori coraggiosi. Fra questi ci sono i Viticoltori Alto Appennino Emiliano, che hanno lanciato una doppia scommessa: portare i vigneti in quota, fuori dalle zone di produzione classica del vino e farlo con vitigni Piwi. Un nome ormai non solo più per gli addetti ai lavori: sono i PilzWiderstandsfähige, ovvero viti resistenti ai funghi in cui si punta ad azzerare i trattamenti. L’Emilia-Romagna, sulla scia di altre regioni, dal 2020 ha regolarizzato la produzione di alcune varietà, i risultati di un percorso di selezione che prosegue da più di mezzo secolo. Intanto quassù l’avventura, prima “con un primo campetto di prova”, e ora con i due bianchi Rocca Corneta – un fermo profumato e un rifermentato in bottiglia – è iniziata, fra i 500 e i 900 metri di altitudine. Gli artefici sono Michele Sandri, Francesco Penazzi e Marco Ventura (il progetto si sta allargando a Stefano Zanini e Filippo Missiroli). “Siamo partiti con otto /dieci filari diversi per vedere cosa succedeva – spiega Sandr –. La prova è andata molto bene e quando è arrivata l’autorizzazione della Regione abbiamo formato la società”.
Avevate già esperienza nel mondo del vino?
“Francesco è un agronomo, Marco di Borgo Pianello ha avuto esperienze commerciali, io e Stefano, invece, veniamo da altre strade: io sono laureato in antropologia culturale e lui in geografia. A Rocca Corneta prima siamo partiti con le aromatiche, per poi passare a ortaggi e sementi. E ora il vino, che sta diventando una speranza”.
Dove sono i terreni?
“Abbiamo un po’ più di tre ettari: 8mila metri a Querciola, un altro ettaro a Campo Ribaldo, sotto Rocca Corneta, e un altro al podere La Bottara. In zona c’erano rimanenze di antiche vigne. Abbiamo studiato e fatto formazione sui Piwi in Trentino e Friuli”.
Ancora non avete una cantina vostra?
“L’azienda bio Corte d’Aibo per ora si è presa in carico la vinificazione e noi diamo indicazioni per i vini, senza lieviti aggiunti. Le etichette sono due, la varietà è Solaris in blend con altri vitigni Piwi, ma ci piacerebbe fare anche un vino in purezza. Quest’anno abbiamo messo qualche filare di prova di rosso, ma a quelle altezze ancora si rischia per la maturazione”.
Quali sono le caratteristiche dei Piwi?
“Resistono principalmente alle due malattie più devastanti per la vite, peronospera e oidio. Ovviamente non sono immuni del tutto: quest’anno per la prima volta 4-5 trattamenti li abbiamo fatti, al cospetto dei 10-15 l’anno di un regime bio”.
Previsioni per la vendemmia?
“Da noi la stagione è buona, stiamo finendo le analisi, ma contiamo di fare la raccolta fra il 5 e il 15 settembre”.
Come sta accogliendo il mondo del vino questi vitigni, che ancora non rientrano nei disciplinari Doc e Docg?
“Nel mondo classico, come sempre, c’è una resistenza alla novità; c’è chi accetta che la qualità è cresciuta tantissimo nell’ultimo decennio, e una parte di produttori e sommelier che non ne vuole sentire parlare. Ma le strade si stanno aprendo strade velocemente. Noi li consideriamo il vino del futuro, pensiamo che possano dare una boccata d’ossigeno a livello produttivo alla montagna: il progetto rivendica di portare sull’alto Appennino e nei terreni non irrigui questa speranza”.
E la risposta del mercato?
“Molto buona. Abbiamo in produzione solo una parte degli impianti, per 3.500 bottiglie, ma l’anno prossimo saranno 5mila e in tre/quattro anni vorremmo arrivare a 20mila. Lì si vedrà. Bologna ha risposto molto bene, ai locali i vini piacciono e siamo felici. Fra qualche anno però dovremo giocare una partita molto più ampia, partecipare a fiere e andare all’estero”.