Licio Gelli usò i dollari di Calvi per la strage

Come un morbo, il "virus del depistaggio ha afflitto tutti i processi per strage". È il pg Umberto Palma a lanciarsi nel paragone, raccontando la difficile strada percorsa dalla procura generale per ricostruire la verità sui mandanti della bomba alla stazione del 2 agosto ’80. Lo fa nel primo giorno della requisitoria del nuovo processo sulla strage, che vede imputati la Primula nera Paolo Bellini, come quinto esecutore materiale dell’attentato, e poi Piergiorgio Segatel e Domenico Catracchia. In Corte d’Assise ieri Bellini non c’era. C’era però Federica Mazzoni, in rappresentanza del Comune, costituito parte civile con i famigliari delle vittime. Sette ore di udienza, dedicate dal pg Palma a un affresco sugli anni di piombo, con una ricostruzione dei protagonisti di quell’epoca di sangue. Gli stessi che, per l’accusa, avrebbero manovrato i fili dell’attentato più grave della storia della Repubblica, depistando le indagini "non certo per proteggere due personaggi come Mambro e Fioravanti", ma perché, "usando le parole del generale Pasquale Notarnicola, un esponente del Sismi fedele allo Stato – continua Palma – ‘era interesse della P2 favorire la stabilizzazione del sistema democratico attraverso operazioni di destabilizzazione del sistema stesso, utilizzando attentati di destra e di sinistra’". E così Palma ha ricostruito il flusso di denaro che dal Banco Ambrosiano di Calvi, passando per i conti svizzeri di Licio Gelli, considerato il mandante della strage, è arrivato a quell’uomo dei servizi, anello tra Cia e Italia, che era Federico Umberto D’Amato. E ha poi tracciato i legami tra gli estremisti di destra e i servizi, il loro ruolo di collaborazione occulta con gli apparati deviati dello Stato. Un filo nero di contatti di cui si continuerà a parlare domani, nella prossima udienza, per arrivare al cuore del processo: l’esplosione del 2 agosto.

Nicoletta Tempera