Bologna, 11 settembre 2024 – Come, e quando, è morta Vitalina Balani? Diciotto anni dopo l’omicidio della settantenne nel suo appartamento di via Battindarno, la domanda torna a imporsi. L’uomo che da 17 anni è in carcere condannato all’ergastolo per quel delitto, il commercialista oggi sessantaduenne Andrea Rossi, che doveva alla donna e all’anziano marito di lei oltre due milioni di euro, vede ora un metaforico spiraglio di luce filtrare dalle sbarre della sua cella alla Dozza. Questo perché il perito nominato dalla Corte d’appello di Perugia che sta revisionando il processo a suo carico ha dato di fatto ragione ai consulenti della difesa, stabilendo che le moderne conoscenze scientifiche spostano l’orario del decesso di Balani di almeno otto ore: a quando, cioè, Rossi aveva un alibi. Dunque la sua sorte giudiziaria potrebbe ribaltarsi.
Focus della perizia erano le nuove conoscenze sulla migrazione delle macchie ipostatiche, i coaguli di sangue nei cadaveri, e il loro ruolo nel permettere di stabilire l’epoca della morte di una persona. E quelle della pensionata, appunto, sposterebbero la sua dalle ore 13.30-14 del 14 luglio 2006, alla sera di quel giorno, ossia tra le 20-22 e le 5-7 della mattina successiva.
Non solo questi ’lividi’, però, sono presi in esame dal medico legale Mauro Bacci, incaricato dal presidente della Corte d’appello umbra, Paolo Micheli. In particolare, altri temi analizzati nella perizia per datare l’ora del decesso sono stati il contenuto dello stomaco della donna e lo stato di putrefazione del corpo.
Sul "contenuto gastrico", in particolare, il perito evidenzia i propri "seri dubbi sulle conclusioni tratte dalla consulenza tecnica disposta dal pm" ai tempi del primo processo. Infatti, scrive il professore, "la fruibilità forense del contenuto gastrico è da sempre oggetto di dibattito critico, data la grande variabilità dei tempi digestivi". Per quanto riguarda i "fenomeni putrefattivi", invece, "essi vanno del tutto esclusi" sul corpo di Balani al momento del suo ritrovamento da parte dei sanitari del 118, dopo mezzogiorno del 15 luglio, e il "siero ematico defluito dal cavo orale alla mobilizzazione del corpo è attribuibile all’edema polmonare". I primi segni di decadimento si rilevano solo "alla ispezione pre-necroscopica, eseguita a quattro giorni dal rinvenimento".
Sulla causa della morte – asfissia acuta meccanica violenta – infine c’è concordia. Non però sul modo in cui essa si è raggiunta. Non fu più strangolamento con "un laccio, anche morbido", stando al perito, bensì "strozzamento per afferramento manuale costrittivo del collo. I segni attribuiti a un laccio possono essere determinati anche da movimenti difensivi del capo/collo della vittima con azione escoriante". E si tratterebbe allora di graffi, o ditate contusive. A tal proposito, la difesa di Rossi – avvocato Gabriele Bordoni –, ha sottolineato anche nell’istanza di revisione come non siano mai state rinvenute tracce di dna dell’imputato né sul cadavere né nell’appartamento teatro del delitto.
In conclusione, se da un lato la perizia è un punto a favore della difesa di Rossi, l’ultima parola resta alla Corte d’appello di Perugia che, nella prossima udienza del 24 settembre, dovrà accoglierne l’esito e valutare il da farsi sul destino giudiziario del commercialista all’ergastolo.