Strage di Bologna, la Procura generale chiede l'arresto di Bellini ma il giudice dice no

La richiesta per l'ex primula nera, "il quinto uomo" dell’orrore. Ma il tribunale: nessun pericolo di fuga e inquinamento delle prove

La Procura generale chiede l'arresto di Bellini ma il gip dice no

La Procura generale chiede l'arresto di Bellini ma il gip dice no

di Nicola Bianchi

Paolo Bellini doveva essere arrestato: lui il "quinto uomo", per i magistrati di Palazzo Baciocchi, della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Una clamorosa rivelazione che arriva a pochi giorni dal prosieguo dell’udienza preliminare dove la Procura generale ne chiede il giudizio per concorso nell’orrore con gli ex Nar Francesca Mambro, Valerio Fioravanti, Luigi Ciavardini (tutti definitivi), Gilberto Cavallini (ergastolo in primo grado) e "altri da identificare". Un concorso che abbraccia anche i mandanti, finanziatori e organizzatori, oggi morti: l’ex capo della P2 Licio Gelli, il suo braccio destro Umberto Ortolani, poi Federico Umberto D’Amato, potente prefetto a capo dell’ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno, e il direttore del ’Borghese’ Mario Tedeschi.

"Arrestate l’aviere". La richiesta di applicazione della misura cautelare per l’ex esponente reggiano di Avanguardia Nazionale, risale al 5 febbraio, con un’integrazione della Procura generale depositata l’8 giugno. Lui, con i responsabili già condannati, avrebbe deliberatamente partecipato nell’organizzazione e predisposizione "di un ordigno esplosivo" con il "voluto fine di uccidere". Ecco perché, secondo l’accusa, vi sarebbero state ancora oggi, 40 anni dopo, esigenze cautelari per arrestarlo: pericolo di fuga e inquinamento probatorio. "Avevamo chiesto il carcere – la conferma del procuratore generale Ignazio De Francisci –. Ora, prima di fare qualunque valutazione, aspettiamo di leggere il provvedimento del giudice".

Tre giorni fa il deposito della decisione del tribunale con il rigetto della richiesta, seppur venga spiegato come la presenza di Bellini quella mattina alla stazione sia ormai appurata. Ma non vi sarebbero, oggi, esigenze tali per mandarlo in carcere. Nessun pericolo di fuga per l’omicida di Alceste Campanile, che dalla sua ultima cattura mai lasciò il Paese. Nessun pericolo che inquini le prove, nemmeno con quei familiari che lo riconoscono nel video girato alla stazione il 2 agosto, elemento cardine in mano all’avvocato generale Alberto Candi e ai sostituti Nicola Proto e Umberto Palma.

Le prove. "La fase esecutiva della strage – scrivono i magistrati nella memoria a sostegno del rinvio a giudizio – vede impegnati soggetti provenienti da varie formazioni terroristiche, coagulati in funzione del medesimo obiettivo, alimentati e cementati da un fiume di denaro, elemento unificatore al cospetto del quale evaporano le diversità ideologiche". E in tale contesto "compare sulla scena dell’eccidio Paolo Bellini", il cui spessore delinquienziale "è attestato da un impressionante curriculum che lo vede protagonista sui versanti della criminalità politica, comune ed organizzata, nonché quale personaggio legato ai servizi di intelligence". Contro di lui, oltre al filmato, ci sono una catenina, le parole del leader di Ordine Nuovo, Carlo Maria Maggi ("un aviere portò la bomba a Bologna"). Poi il riconoscimento dell’ex moglie Maurizia Bonini ("sì, purtroppo è lui alla stazione") e una serie di intercettazioni della famiglia, definita un vero e proprio "clan", capace di creare "una rete di protezione saldissima" attorno a Bellini, e che vide "particolarmente attivo il padre Aldo".

Il clan. L’alibi attorno all’ex aviere – alias Roberto Da Silva, che raccontò che il 2 agosto 1980 era a Passo del Tonale – "fu costruito, in un contesto dichiarativo familiare compiacente, caratterizzato da palesi menzogne". Dietro a quel "paravento", però, c’era "la grave preoccupazione per l’inevitabile discredito derivante da un eventuale accertamento della responsabilità del loro congiunto per la strage". Così la figlia della Bonini, in un’intercettazione 4 agosto 2019: "Anche noi siamo vittime di quell’uomo lì". Il reggiano, 68 anni, già collaboratore di giustizia ma uscito da ogni programma di protezione, per la strage di Bologna venne prosciolto il 28 aprile 1992; il 19 febbraio 2019 la Pg aveva però chiesto la riapertura dell’indagine nei suoi confronti, accolta il 28 maggio. Ma a 40 anni dalla bomba che fece 85 vittime, ora però non ci sono esigenze per arrestato.

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