GABRIELE PAPI
Cronaca

In principio c’è sempre la sfoglia. La pasta tra tagliere e matterello

Nelle cucine dei sobborghi il fior di farina era spesso sostituito da farina di mistura per il pane

Nelle cucine dei sobborghi il fior di farina era spesso sostituito da farina di mistura per il pane

Nelle cucine dei sobborghi il fior di farina era spesso sostituito da farina di mistura per il pane

Prediche corte e tagliatelle lunghe: era il saggio esordio dei parroci di campagna durante la messa domenicale. Motto ispirato all’arguzia di Pellegrino Artusi che nella ricetta n.71, ‘tagliatelle all’uso di Romagna’ afferma che le tagliatelle corte attestano l’imperizia di chi le fece. Ma in principio c’è sempre la sfoglia, madre di tutte le minestre un tempo fatte in casa (non solo in Romagna, ovviamente). Minestre che oggi quasi sempre si comprano già predisposte alla cottura: di fattura industriale o, ancor meglio, preparate dai nostri negozi di pasta fresca: specialità che costano qualcosa in più. Ma ne vale la pena.

Prima delle impastatrici e delle macchine (o macchinette) sfogliatrici c’era il tagliere, il ‘tulìr’ cioè il tavoliere. Che però ci mise parecchio tempo, nei secoli, a entrare in modo diffuso in molte cucine, dando vita all’epopea delle sfogline di casa. Ad esempio. Cesena, 1839, ormai due secoli fa. Ci resta un più che ricco inventario di strumenti da cucina di Casa Masini, nobile stirpe locale. Più di cento attrezzi culinari, roba da cuochi ‘stellati’. Tra spiedi e leccarde varie ecco tagliere e ‘l’assotigliatore grande per spoja’ (il matterello), due assotigliatori più piccoli, diversi coltelli per ‘taglierini’ e altri tipi di pasta, due ‘ferri per passatini’ (passatelli), due setacci per farina, uno ’stampo in legno per i cappelletti’, un ‘grattacacio’, una grattugia piccola per limone e molti altri strumenti cucinieri e pasticceri: persino un vaso in rame solo per ‘tirare la fiocca’ (montare a neve l’albume delle uova).

Ma una cucina così era l’eccezione, mica la regola. Segnava l’opulenza di alcune case nobili rispetto alla modestia delle cucine di gran parte dei cesenati d’allora e alla miseria dei sobborghi. Quando anche il ‘fior di farina’ era spesso sostituito da farina di mistura per il pane o le piade del popolo, con erbe e radicchi a companatico. Sarà lunga e tormentata lungo tutto l’800, costellata da lotte sociali, la strada che porterà dalla fame a un po’ d’abbondanza a tavola, non solo il giorno di Natale. E’ nella seconda metà dell’800 che i taglieri (opera di bravi falegnami locali) entrano nelle case degli artigiani, dei piccoli commercianti, dei coloni con un po’ di terra: spesso come regalo di nozze. E durante il 900 mobilifici locali come Valzania, che era in via Gaspare Finali, producevano tavoli da cucina con tavoliere in marmo lavabile, cassettiera e tagliere in legno sottostante estraibile alla bisogna (esemplari di questi tipo ci sono ancora in alcune case cesenati).

In questa mini storia del tagliere non poteva mancare, a corredo, un suggestivo dipinto d’epoca: opera del pittore romagnolo Antonio Farnedi che raffigura tagliere, strumenti e ingredienti necessari per una buona sfoglia, compreso lo scopino, ‘e garnadèl’, per la ripulitura finale del tagliere. ‘E garnadèl’ era fatto da steli di saggina, pianta detta in tardo latino ‘granatellus’, da cui il nome dialettale. Quando lo scopino era ormai consumato non veniva gettato, ma destinato ad usi meno nobili. Da cui l’antico e pittoresco detto: ‘l’ha fàt e sèlt de garnadèl’ (ha fatto il salto del garnadello), riferito a chi peggiora il proprio stato, la propria carriera nella vita.